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Governo ancora salvo Ma non ha più i numeri

Ok al dl Elezioni: i sì del Senato sono solo 158. Conte finge che sia tutto ok: «Chapeau»

Governo ancora salvo Ma non ha più i numeri

Passa al fotofinish, tra veleni e polemiche, il decreto Elezioni che fissa l'election day (Regionali, Comunali e referendum) il 20 e 21 settembre. Nella votazione bis al Senato, dopo il pasticcio di giovedì sera (voto annullato per mancanza di numero legale), il governo supera l'ostacolo della fiducia. Ma prende atto che d'ora in avanti Palazzo Madama sarà il Vietnam. Il Dl Elezioni ottiene il via libera con 158 voti favorevoli: zero astenuti e voti contrari. L'asticella della maggioranza assoluta è fissata a 161: all'esecutivo Conte mancano tre voti. Per il decreto Election day bastava, però, la maggioranza semplice. E c'è, stavolta, il numero legale.

L'Aula è stata costretta a rivotare il provvedimento: il via libera era arrivato giovedì, salvo poi scoprire, in tarda serata, che per un errore tecnico nel conteggio dei congedi mancava il numero legale in Aula. Senatori richiamati nel cuore della notte a Roma per la votazione bis. Ed è proprio sulle responsabilità dell'incidente in Senato che si infiamma lo scontro tra maggioranza e opposizione. L'Aula si trasforma in un teatro di guerra. La presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati è tesa. Richiama con più volte i commessi invitandoli a individuare i senatori che usano il telefono. «Sono profondamente amareggiata di quanto accaduto. Non c'ero io ma mi assumo le mie responsabilità. C'è stato un errore non imputabile a nessuno. Ho appreso giovedì sera alle 20,45 che c'era stato questo problema. Mi si può dire tutto ma che si imputi alla Presidenza un errore informatico mi pare eccessivo. Chiedo scusa ma non posso rimproverarmi nulla», commenta la presidente Casellati. «Poi se mancava una maggioranza non è attribuibile alla Presidenza». La grillina Paola Taverna, che guidava l'Aula del Senato al momento del pasticcio, si sente chiamata in casa e reagisce: «Fare i nomi svilisce le istituzioni». E a sua volta prova a scaricare le colpe su Ignazio La Russa di Fratelli d'Italia: «Mi ha chiesto di sostituirlo». Il senatore meloniano è una furia: Chiedo un Giurì d'onore. Io avevo chiesto la sostituzione due giorni prima perché c'era un vertice di centrodestra, non è elegante quanto detto da Taverna ma l'eleganza non è un obbligo, la verità sì. Chiedo pubbliche scuse». La Taverna si scusa. Ma dal senatore di Fi Maurizio Gasparri giunge la richiesta di dimissioni.

Al netto dello scontro in Aula, il passaggio in Senato sul decreto elezioni certifica le difficoltà in maggioranza. Soprattutto in vista dei prossimi passaggi. A cominciare dalla votazione sul Mes. Conte prova a compattare la squadra: «Quando ieri sera sono stato avvertito che in Senato sareste stati richiamati a votare alle 9,30, ho pensato mission impossible. Invece chapeau, se ci siete tutti, siete stati davvero bravi», dice in collegamento telefonico con i capigruppo di maggioranza. I numeri terrorizzano il premier: nella votazione (quella poi annullata) sono arrivate defezioni dal M5S e dal Pd. Preoccupa la fronda di Alessandro Di Battista. Ma si temono sgambetti anche dal fronte Pd che vorrebbe sbarazzarsi di Conte.

«Un piccolo aiutino - mormora un senatore - sarebbe arrivato da una parte delle opposizioni che sul voto al decreto Elezioni ha garantito il numero legale». E potrebbe essere l'antipasto di una convergenza con Pd e Cinque stelle anche sulla legge elettorale.

L'obiettivo? Azzerare il peso parlamentare di Matteo Renzi.

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