"Il governo è inerte da mesi". Zingaretti non ci crede più

I dubbi del segretario: esecutivo scollato dal Paese, neanche una legge di cui andare fieri. Le urne non sono più un tabù

"Il governo è inerte da mesi". Zingaretti non ci crede più

«Un governo che non governa, completamente paralizzato da mesi. Difficile andare avanti così». Rigorosamente in privato Nicola Zingaretti non lesina dubbi su un esecutivo che immaginava sì avrebbe avuto delle criticità, ma che neanche nei suoi peggiori incubi poteva supporre già impantanato dopo sole dieci settimane di vita. Appeso a una leadership debole come quella di Giuseppe Conte e ai capricci di un Luigi Di Maio che o davvero non si rende conto di quanto le sue uscite stiano sabotando il governo oppure sta scientificamente puntando a far saltare il banco.

Per il segretario del Pd, che sul via libera al Conte 2 ha sempre avuto molte riserve, un cruccio costante. Anche perché da gennaio archiviata la legge di Bilancio la strada da fare rischia di essere ancora più in salita di quella già alle spalle. Lo spartiacque è evidente ha la data del 26 gennaio, giornata in cui si voterà in Emilia Romagna e Calabria. Una tornata che non solo coinvolge ben sei milioni e mezzo di abitanti, ma che rischia di terremotare il Pd. Stando agli ultimi sondaggi, infatti, la partita tra Stefano Bonaccini e Lucia Borgonzoni è aperta. E nonostante l'ottimismo delle ultime ore di alcuni esponenti della maggioranza ieri il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D'Incà confidava a un suo collega di essere «fiducioso» il rischio di una sconfitta che per il Pd sarebbe storica esiste. Uno scenario, questo, che potrebbe avere conseguenze concrete sulla tenuta del Partito democratico e della sua leadership. Per quanto abbia ereditato una situazione disastrosa di cui non è responsabile, Zingaretti sarebbe infatti additato come il segretario che ha consegnato la storica fortezza rossa a Matteo Salvini. Una «macchia» se non indelebile, di certo difficile da cancellare.

È anche per questo che ai piani alti del Nazareno la parola «elezioni» non è più un tabù. Perché, è la riflessione che sta facendo in questi giorni Zingaretti, fino ad oggi il governo è stato completamente scollato dalla realtà, non ha fatto un solo provvedimento che abbia incontrato il plauso della gente, neanche un'iniziativa che si possa rivendicare con orgoglio. Zero assoluto, perché si è limitato a navigare a vista non facendo altro che rafforzare la Lega. E anche a gennaio l'agenda delle cose da fare è completamente vuota, tanto che Conte ha proposto ai capidelegazione di maggioranza di riunirsi in una sorta di conclave per buttare giù alcuni punti programmatici per il 2020. Insomma, andare avanti così significa rischiare di infilarsi in un vicolo cieco e magari trovarsi con le spalle al muro dopo la tornata elettorale delle regionali di primavera. A quel punto, se il governo continuerà a dare questa immagine di paralisi e litigiosità, l'incidente rischia di essere davvero dietro l'angolo e la vittoria del centrodestra sarebbe straripante.

Certo, nel Pd non tutti la vedono così. Approccio più cauto, infatti, è quello di Dario Franceschini, ministro dei Beni culturali e capodelegazione dem al governo. Anche lui, però, ha iniziato a manifestare dubbi. Che ha riversato a Di Maio. «Così non si va avanti», è stato il messaggio. D'altra parte, il timore che il ministro degli Esteri abbia perso il controllo dei suoi gruppi parlamentari ormai non serpeggia solo fra i ministri grillini Alfonso Bonafede, Riccardo Fraccaro e Stefano Patuanelli, ma anche tra i big del Pd. E questo costituisce un elemento d'instabilità intrinseca della maggioranza che sta facendo riflettere molti colonnelli dem.

Considerazioni che forse hanno contribuito a dare un'accelerata al dibattito sulla riforma elettorale, con l'impegno a incardinare in un testo in Commissione entro metà dicembre. Si va verso un proporzionale con sbarramento al 4 o 5%, un sistema elettorale che impedirebbe a Salvini di vincere da solo anche se la Lega confermasse il 35% dei sondaggi di questi giorni.

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