Quelle trame di Franceschini: così vuol puntare al Quirinale

Il ministro ha cambiato idea: il Pd non può impiccarsi al nome di Conte. Perché un nuovo premier può sbloccare varie caselle per portarlo al Colle. E nel partito crescono le spaccature

Quelle trame di Franceschini: così vuol puntare al Quirinale

Per la scalata al Quirinale si può anche sacrificare Giuseppe Conte e riannodare i fili del discorso con Matteo Renzi. Dario Franceschini, ministro dei Beni culturali, è indicato come il regista delle ultime ore per la formazione di un nuovo governo. Un netto cambiamento di opinione in confronto a quella del 20 dicembre, quando si presentava come l’alfiere del presidente del Consiglio: “O Conte o voto anticipato”, tuonava, facendo imbufalire il leader di Italia viva. “Non è il Ribery della politica”, fu la replica, piccata, dell’ex Rottamatore. Schermaglie prevedibili. Poi la crisi c’è stata davvero e una buona fetta del Partito democratico è disposta a tutto pur di scongiurare le urne. Trovando in Franceschini un punto di riferimento per il non voto. E facendo irritare, non poco, il segretario Nicola Zingaretti.

Lo stop alla tentazione di Zingaretti

Nelle ultime ore non è sfuggita una maggiore aggressività del presidente della Regione Lazio. “Ha già subito la nascita del Conte 2, ora non vuole assistere passivamente all’evoluzione di questa crisi. Anche al costo di forzare la mano sulle elezioni”, è il discorso che circola negli ambienti parlamentari. Anche per questo motivo ha espresso una posizione ufficiale intoccabile: pieno sostegno a Conte. Così ha spedito il suo principale stratega, Goffredo Bettini, a ribadire la linea pubblicamente: se non c’è la fiducia a Conte la prospettiva è il voto in tarda primavera. “Non si capisce se sia tattica o cos’altro, ma è soltanto una solenne sciocchezza. I gruppi parlamentari vogliono lavorare sul Recovery plan e vogliono evitare in ogni modo le elezioni anticipate. Un governo bisogna farlo”, dice a IlGiornale.it un deputato dem. A tutti costi con Conte? “Per ora la posizione è questa”, è la chiusura. Aprendo la possibilità ad altri scenari. Il quadro rende plasticamente le divisioni interne al partito di Largo del Nazareno. La corrente Base riformista, il nucleo dei renziani rimasti nel Pd come Luca Lotti e Lorenzo Guerini, non ha ancora aperto il fronte. Ma il deputato Alfredo Bazoli è andato in avanscoperta, twittando: “Bettini a nome di chi parla? E in quale veste? Così mi regolo”.

La realpolitik di Franceschini

Una posizione che consolida la strategia Franceschini, che di realpolitik parlamentare se ne intende, eccome. “Sicuramente Dario è il più abile a tessere accordi. Diciamoci la verità, in questo è un gigante rispetto agli altri interlocutori. Ed è l’unico che può prevedere l’imprevedibilità di Renzi”, spiega chi lo conosce. Per Franceschini la partita è fondamentale: può decidere il suo prossimo futuro. Inizialmente ha cercato di capire i margini per proporre Roberto Fico come premier incaricato: il passaggio a Palazzo Chigi avrebbe liberato il posto di presidente della Camera. Ruolo istituzionale ambito dal ministro dei Beni culturali per poi lanciarsi nella corsa alla Presidenza della Repubblica. Il “no” di Fico ha riaperto i giochi, spostando l’attenzione sulle amministrative. L’obiettivo è quello di dirottare proprio Fico alla candidatura come sindaco di Napoli, sostenuto dall’alleanza giallorossa.

Occorre fare una moral suasion, le possibilità di successo sono comunque ritenute alte. Allo stesso tempo Franceschini sta lavorando per persuadere il a candidare Roberto Gualtieri al Campidoglio, proponendo un ministro dell’Economica più tecnico e di alto profilo europeo. Se non Mario Draghi, qualche figura molto stimata nell’Ue. L’obiettivo è quello di attirare un’ampia pattuglia centrista a supporto della maggioranza. E successivamente a fare manforte alla sua ambizione quirinalizia. Qui si incontra l’ostacolo principale: Giuseppe Conte. Qualsiasi allargamento del perimetro di maggioranza passa per il cambio di guarda alla presidenza del Consiglio.

Così c’è un altro elemento che gioca a vantaggio del capo delegazione del Pd nel Conte 2: aveva avvisato i naviganti sulla gravità della situazione a inizio dicembre. “Matteo questa volta sta facendo sul serio”, spiegava negli incontri privati. L’avvertimento non è stato preso preso in considerazione. Il presidente del Consiglio ha tirato dritto fino all’ultimo, finendo per schiantarsi contro la vana ricerca dei Responsabili. Uno svarione che non è stato molto digerito da molti parlamentari del Pd. E piano piano qualcuno lo sussurra. “Piaccia o meno, per una coalizione di centrosinistra bisogna dialogare con Renzi.

Perché se non c’è lui bisogna confrontarsi con Mastella, non proprio Trotsky. Se Conte non riesce…”. Insomma, al di là dei pubblici elogi, nelle fila dem cresce il malcontento nei confronti di Conte, ritenuto tutt’altro che insostituibile.

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