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Hotel e cene di lusso: sequestrati a Ingroia beni per 150mila euro

È indagato per peculato: nel mirino la sua gestione della società regionale per i servizi informatici

Hotel e cene di lusso: sequestrati a Ingroia beni per 150mila euro

Guai per l’ex pm, oggi avvocato, Antonio Ingroia. Il candidato alle ultime politiche per la Lista del popolo per la Costituzione è, infatti, indagato per peculato insieme ad Antonio Chisari. I due, all’epoca dei fatti, erano rispettivamente amministratore unico e revisore contabile della società partecipata regionale Sicilia e Servizi spa (oggi Sicilia digitale spa). I finanzieri hanno sequestrato loro 150mila euro, proventi intascati, a quanto pare, in modo illegittimo. Il procuratore Francesco Lo Voi e i procuratori aggiunti Enrico Bologna e Pierangelo Padova hanno contestato il fatto che nel corso dell’attività Ingroia avrebbe ottenuto rimborsi non previsti. Al massimo avrebbe potuto chiedere la restituzione degli anticipi per i biglietti aerei utilizzati per arrivare da Roma, dove vive, alla Sicilia. I rimborsi in particolare riguardavano la permanenza in hotel di lusso del capoluogo dell’isola quali l’Excelsior Hilton, il Grand Hotel Piazza Borsa, il Grand Hotel Villa Igiea, il Centrale Palace Hotel, l’Excelsior Palace Hotel, ma anche pranzi e cene in alcuni ristoranti di lusso di Palermo. I conti che spuntano parlano di una spesa di 37.710 euro solo per i soggiorni, con fatture anche da 2.275 euro (nel giugno 2014, ad esempio). «L’indagine – si legge nel documento del tribunale – si è conclusa con l’accertamento di un danno erariale di 443.294,20 euro attribuibile a Ingroia in qualità di liquidatore e amministratore unico e Chisari in qualità di revisore contabile di Siese spa, cagionato dall’illegittima attribuzione di compensi all’amministratore unico della Sicilia e Servizi spa per l’attività di gestione effettuata nonché dall’illegittimo rimborso di spese sostenute per soggiorno e vitto». Essendo i due, nel corso dell’attività, «incaricati di pubblico servizio» non avrebbero potuto erogare «denaro pubblico», da qui l’accusa di peculato. A tutto ciò si aggiunge una indennità corposa, di circa 117mila euro, in aggiunta al compenso omnicomprensivo di 50mila euro già riconosciuto dall’assemblea, che l’ex magistrato si era intascato per un trimestre in quanto liquidatore della società che anziché chiudere era rimasta in essere come Sicilia Digitale spa. L’auto-liquidazione indebita del compenso ha determinato l’abbattimento dell’utile di esercizio del 2013 da 150mila a 33mila euro. I fatti si riferiscono al periodo 2013-2015 in particolare, ma gli utili di bilancio richiamati per «giustificare l’autoliquidazione dell’indennità si riferiscono all’esercizio sociale 2013, nel cui corso Ingroia aveva operato solo in qualità di liquidatore». A far scaturire il caso una segnalazione della procura della Corte dei Conti che non vedeva chiaro nei rimborsi avuti dall’ex pm. «Ho appreso dalla stampa del provvedimento emesso nei miei confronti – ha spiegato Ingroia – prima ancora che venisse notificato. Ho la coscienza a posto perché so di avere sempre rispettato la legge, come ho già chiarito e come dimostrerò nelle sedi competenti.

La verità è che ho denunciato sprechi per centinaia di milioni di euro, soldi che solo io ho fatto risparmiare e invece sono accusato per una vicenda relativa alla mia legittima retribuzione».

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