I falli di gioco del Professore

I falli di gioco del Professore

Mai visti, letti e ascoltati, tanti osanna, nel basso dei cieli, dopo un discorso al Senato e al Paese, del presidente del Consiglio dei ministri. Conte, professore e avvocato Giuseppe, è celebrato come uno statista come mai si erano visti nel nostro panorama politico; il tono, la forma, la sostanza delle sue parole vengono lette e interpretate, quindi declamate, come un passaggio storico, come la svolta di un'epoca imprevista, imprevedibile e bizzarra che, finalmente, si è conclusa, tra gli sberleffi dell'opposizione che fu e che, improvvisamente, ha abbandonato le barricate e risalita a bordo, come urlerebbe il garbato De Falco Gregorio ufficiale di Marina, del carro del premier.

Rileggendo e riascoltando alcuni passaggi dell'intervento del Professore Avvocato si potrebbe dedurre che l'acronimo PM non stia per Primo Ministro ma per Pubblico Ministero, tanti sono stati i capi di accusa, senza nemmeno un rinvio a giudizio, elencati nei confronti dell'imputato Salvini Matteo, colpito e affondato ma, nota non a margine, uno dei primi e rari pentiti cui non si dà corda se non per impiccarlo.

In verità Conte, professore avvocato Giuseppe, si è comportato come un marito, o una moglie, sanno e fanno il giorno appresso alla separazione o al divorzio, vomitando accuse e difetti del proprio consorte, svergognandolo/a ai massimi, sfogandosi con gli amici, anche quelli considerati, fino al giorno prima, opportunisti e/o infidi, comunque cercando un alibi, un consenso, un appoggio al proprio stato d'animo.

Di solito, tra le persone cosiddette per bene (!?), simili comportamenti vengono ritenuti infantili se non miserabili ma, nel caso in questione, stanno meritando e raccogliendo ogni tipo di elogio, pubblico e privato, secondo i migliori usi e costumi dei cortigiani. Il Paese di piazza Venezia e piazzale Loreto sa farsi riconoscere in queste circostanze.

Conte professore avvocato Giuseppe ritiene di essersi sciacquato la coscienza, eh no, trattasi della bocca, ma rivedendo al Var il suo intervento, si possono cogliere alcuni falli di gioco abbastanza puerili e, al tempo stesso, significativi della vera identità etica dell'oratore, dall'uso ipocrita del «caro Matteo», rivolgendosi al proprio viceministro, già abbondantemente ricoperto di insulti, alla farlocca par condicio riservata ai pentastellati assenti nel giorno di un precedente intervento del suddetto Professore Avvocato. Il quale avrebbe potuto ricorrere al candido fazzoletto che porta elegantemente nel suo taschino, almeno per detergersi il sudore. O per nascondere l'imbarazzo e la vergogna.

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