Roma «La posizione politica che abbiamo avanzato sarà presto la posizione del partito: ovvero la costruzione di un centrosinistra largo contro le destre». Andrea Orlando ha mostrato il suo solito volto contrito alla conferenza stampa di accettazione della sconfitta. Una brutta botta: ieri in tarda serata era accreditato di una quota tra il 20 e il 25% dei voti, al di sotto delle aspettative. E così al «fedele» ministro della Giustizia dei mille giorni dell'ex sindaco di Firenze a Palazzo Chigi non restava che immaginare una prospettiva politica per una mozione di fatto rottamata dai numeri. «Non è il momento di smobilitare», ha detto avviando di fatto il rompete le righe.
Il dato politico della sconfitta annunciata di Orlando, infatti, è il disfacimento della vecchia nomenklatura, corsa immediatamente ad appoggiarlo. Dall'ex capo dello Stato, Giorgio Napolitano, al contendente di Renzi nella precedente tornata, il dalemiano di tendenza kafkiana Gianni Cuperlo. Con loro finisce (o sarebbe meglio dire resta) sotto la macerie anche l'ulivista Romano Prodi che la scorsa settimana accolse Orlando nella sua magione bolognese servendogli gli immancabili tortelli. Anche nella campagna elettorale non troppo rumorosa delle primarie Orlandoha evitato accuratamente di alzare i toni, anche perché non avrebbe potuto rinnegare un percorso che lo ha visto se non protagonista quanto meno testimone.
Ha cercato un colpo di coda alla fine. Prima polemizzando con il ministro degli Esteri Alfano che ha appoggiato il pm catanese Zuccaro, che ha ipotizzato il diretto coinvolgimento delle ong nel traffico dei migranti. Poi cercando il voto degli insegnanti «arrabbiati» per la riforma della Buona Scuola. Infine invocando un referendum in caso di future larghe intese con Forza Italia.
E proprio Prodi ieri ha posto la pietra tombale sulle velleità orlandiane. Interpellato dopo il voto al gazebo sulla possibile alleanza con Berlusconi ha detto: «Sono stato rottamato e non devo prendere queste decisioni». Non le prenderà nemmeno Andrea.
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