Per i giudici spacciare pedopornografia non basta per essere espulsi dall'Italia

Lo straniero condannato può chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno

Per i giudici spacciare  pedopornografia non basta per essere espulsi dall'Italia

Milano E teniamoci pure i trafficanti di pedopornografia: tanto, imboscato in qualche comma di qualche articolo di qualche legge, c'è ovviamente il cavillo che consente a chi mette in circolazione foto di bambini nudi di venire accolto a braccia aperte nel Belpaese. Un traffico osceno, di cui si rendono colpevoli anche delinquenti col cento per cento di sangue italiano. Ma proprio per questo diventa difficile capire che bisogno ci sia di dare asilo anche ai trafficanti che vengono dall'estero.

A stabilire il principio è il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, con una sentenza depositata ridosso dello scorso weekend. Sul loro tavolo, i giudici del Tar avevano il ricorso di un cittadino straniero che si era visto rifiutare il permesso di soggiorno dalla Questura di Milano. Motivo del diniego: nel frattempo il signore in questione era finito nelle grinfie della Polizia postale, gli investigatori che setacciano il web alla ricerca di traffici di ogni genere, e che hanno ai primi posti della loro agenda la caccia ai piazzisti di pornografia infantile. È un segugio della «Polposta» a intrappolare il venditore, inserendosi in una chat di pedofili, fingendo di essere uno di loro, e ottenendo due immagini dal contenuto inequivocabile. Risalendo dagli indirizzi ip, il trafficante viene identificato, incriminato e condannato. Per questo il 30 dicembre 2015 la Questura di Milano decide di respingere la sua richiesta di permesso di soggiorno.

Ma il pedofilo non si arrende. E nei suoi confronti la giustizia si mostra non solo comprensiva, ma anche straordinariamente sollecita. Il 27 aprile il provvedimento della questura viene notificato allo straniero. Pochi giorni dopo, parte il ricorso al Tar. E poco più di due mesi dopo si tiene l'udienza per esaminare il ricorso: una sollecitudine straordinaria, se si pensa ai tempi medi di attesa, e alle 240mila cause amministrative in attesa di essere definite.

Sta di fatto che il 6 luglio la prima sezione del Tar affronta il ricorso. Il ministero degli Interni si costituisce in udienza, spiega perché il rifiuto del permesso di soggiorno fosse non solo lecito ma persino doveroso, visto che la legge del 1998 esclude dal permesso «lo straniero che sia considerato una minaccia per l'ordine pubblico». Ma nella sentenza i giudici stabiliscono invece che la legge da applicare è quella del 2012 che indica tra i reati che impediscono il rilascio del permesso di soggiorno solo quelli per cui è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza. E il reato per cui questo signore è stato condannato non rientra nell'elenco, perché l'arresto in flagranza è previsto solo per chi produce e vende il materiale pedopornografico, e non per chi si limita a farlo circolare: che è l'accusa per la quale lo straniero era stato condannato.

Ma la parte più notevole della sentenza è la conclusione, quando il Tar scrive

che la Questura per motivare il diniego avrebbe dovuto spiegare le ragioni della pericolosità dello straniero, mentre si è limitata a dire per che reato era stato condannato. Come se ci fosse bisogno di aggiungere altro.

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