Coronavirus

"I negazionisti intubati? Si pentono e piangono"

Il medico del Niguarda: il 70% cambia idea, gli altri continuano a rifiutare i sieri

"I negazionisti intubati? Si pentono e piangono"

Negazionisti ed estremisti religiosi, uomini e donne che preferiscono dire: «Meglio intubato che vaccinato, ci ha detto uscendo dalla terapia intensiva un paziente no vax convinto». Massimo Puoti, direttore di Malattie infettive all'ospedale Niguarda di Milano, ne ha visti tanti di malati Covid non vaccinati nel suo reparto. «Gli atteggiamenti che hanno durante i momenti più duri della malattia o di ritorno dall'incubo della terapia intensiva sono eterogenei», spiega all'Adnkronos Salute. Non è bastato aver sperimentato la «fame d'aria» provocata da Covid a far vacillare le sue convinzioni. Un buon 30-35% rimane fermo nella sua scelta, ha un atteggiamento di rifiuto e spesso aggressivo nei confronti degli operatori, perché nella loro visione delle cose il Covid non esiste, e i medici e gli infermieri fanno parte del complotto.

«Ma abbiamo un 60-70% che si rende conto, man mano che sta in ospedale, di aver sbagliato i suoi calcoli. Tante persone hanno pianto e consigliato a parenti e amici di fare il vaccino. Persone provate che hanno avuto bisogno di un supporto respiratorio più o meno invasivo, hanno dovuto purtroppo subire il famoso Cpap, la posizione pronata o finire in rianimazione. Molti si rendono conto di aver sbagliato e molti sicuramente non lo rifarebbero. Con sfumature di maggiore o minor pentimento, o emotività. C'è chi rimane convinto in maniera ferrea della sua posizione - racconta - Molti però hanno fatto una scelta non pienamente consapevole, ma più per sentito dire, e sono in qualche modo pentiti. Avevano paura di compiere un gesto che nella loro ottica li mette a rischio, per evitare una malattia il cui rischio ritengono sia meno consistente. Hanno fatto una valutazione, ma quando finiscono in ospedale col Covid l'atteggiamento il più delle volte cambia». Anche se in una certa quota rimane l'aggressività. «Ma noi dobbiamo curare tutti al meglio - precisa il medico - Per questo stiamo facendo una serie di incontri con i nostri psicologi, per essere il più possibile accoglienti e non far sentire a disagio questi pazienti.

Non cerchiamo di convincerli, cerchiamo di curarli».

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