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Ma i nuovi azzurri sono di colore

Ma i nuovi azzurri sono di colore

«Non mi ero accorto che fossero di colore». Ecco. Nello sport, quello vero, quello del sudore, delle scarpe sporche, degli allenamenti solitari nella nebbia, nei campi, nelle palestre puzzolenti, quello dei pochi soldi, quello che ruba tempo al lavoro o allo studio dei giovani, in questo sport bisognerebbe rispondere tutti così quando, in qualsiasi modo esso venga declinato, si pone il problema della pelle, del colore, della diversità, dell'integrazione. Perché lo sport è molto più della vita, è ultra vita, e perché in esso ogni gesto e ogni pensiero vengono enfatizzati, assumendo significati che a volte diventano messaggi. Solo che se poi i messaggi suonano subito stonati, è lo sport con tutta la sua gente a farsi del male. «Non mi ero accorto che le mie compagne fossero di colore». In questo modo, semplice, pulito, schietto, un giorno dell'estate scorsa quello splendido ragazzo di nome Filippo Tortu, fresco ventenne e soprattutto fresco primatista italiano dei 100 metri con 9''99, aveva stoppato chi lo incalzava sul tema del colore della pelle e dell'integrazione dopo l'oro conquistato dalla staffetta femminile 4x400 ai Giochi del Mediterraneo (nella foto, ndr). Una cubana naturalizzata, due ragazze di origini nigeriane, una con genitori sudanesi avevano dominato e regalato all'Italia il trionfo. Un successo per la nostra atletica, per la Federazione che da anni lavora e investe tempo e risorse per accelerare l'integrazione di centinaia di giovani atleti. Un successo che vede i suoi appassionati allenatori in giro per le scuole del Paese, dispersi in piccoli comuni a cercare talenti senza fare distinzione, setacciando le nostre famiglie come quelle degli immigrati che cercano l'integrazione, di più, che vogliono l'immersione nella nostra cultura e l'emersione sociale attraverso lo sport. Perché non se ne abbiano altre discipline più ricche, più celebrate, più mediaticamente presenti: non c'è nulla come l'atletica ad avere la forza di sintetizzare in sé il senso vero dello sport. Per questo la decisione inizialmente presa dagli organizzatori della mezza maratona di Trieste resta stonata e disgraziata nonostante in serata sia stata poi ritirata.

Perché lo sport è ultra vita, perché i suoi messaggi fanno il giro del mondo, perché gli organizzatori avevano ripetuto per tutto il giorno che si trattava di una scelta contro «il mercimonio di atleti africani e a tutela di quelli italiani ed europei», perché invece la sensazione grande era ed è che avessero provato a tenere lontani i più forti e perché tutti dovrebbero imparare a sgranare gli occhi e dire «non mi ero accorto che fossero di colore».

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