I peones che frenano il voto per non perdere la pensione

Il 16 settembre è la data chiave: se la legislatura finisse prima, più di 600 parlamentari non avrebbero vitalizi

I peones che frenano il voto per non perdere la pensione

Oltre alla Consulta e alla prudenza di Mattarella tra le dimissioni di Renzi e il voto anticipato c'è anche un altro freno: il partito trasversale del vitalizio. In Parlamento ci sono più di 600 onorevoli che hanno cerchiato in rosso sul calendario del 2017 una data precisa, il 16 settembre. Da quel giorno, ma non un minuto prima, scatterà il diritto alla loro pensione parlamentare, che matura nel momento in cui sono passati esattamente quattro anni, sei mesi e un giorno dall'inizio della legislatura (il 15 marzo 2013). Se si vota prima, addio vitalizio. Un vero peccato.

Il problema riguarda deputati e senatori eletti per la prima volta nel 2013, ma oltre a loro anche molti di quelli subentrati a parlamentari che nel frattempo hanno optato per altre cariche (sindaci, europarlamentari, assessori, presidenti o vicepresidenti di Regione etc). In passato bastava anche un solo giorno da deputati e si aveva diritto alla pensione a vita (come sanno bene decine di ex parlamentari che ricevono ogni mese il vitalizio per essere transitati dal Parlamento come meteore), poi a furor di popolo il regime è stato modificato, nel 2012, introducendo anche per gli onorevoli il sistema contributivo, con la clausola dei 4 anni e mezzo minimi per ottenere la pensione.

Per l'esercito di peones al primo giro, tornarsene a casa dopo quasi quattro anni tra gli scranni di Montecitorio e Palazzo Madama, ad un passo dal vitalizio, sarebbe una beffa. I contributi versati fino allo scioglimento delle camere, infatti, pari all'8,8% dell'indennità parlamentare lorda (quindi circa 1.000 euro al mese di contributi previdenziali), non si possono né ricongiungere ad altri profili previdenziali né riscattare perché non soddisfano il requisito minimo della continuità dei versamenti per il periodo previsto.

Un problema che hanno già i contribuenti Inps, a cui viene peraltro richiesto un arco temporale di versamenti molto più lungo. Ma che molti parlamentari investiti dal rischio di non vedersi riconosciuto il vitalizio, ora guardano come ad una vera ingiustizia. «Non sarei sincero se non ammettessi che tra noi parliamo anche di questo» ammette al Messaggero l'ex grillino, ora Pd, Tommaso Currò. «Mi ritroverò con un buco contributivo» lamenta con amarezza Emiliano Minnucci, ex sindaco di Anguillara Sabazia diventato parlamentare Pd nel giugno 2014 subentrando a Enrico Gasbarra, eletto all'Europarlamento.

Ma di quale partito sono i parlamentari del «partito del vitalizio», quelli che potrebbero tifare per un voto in autunno (dopo il fatidico settembre), o meglio ancora a fine legislatura nel 2018? La maggioranza sono proprio grillini, tutti neofiti del Parlamento. Mentre Grillo e i capi del Movimento chiedono il voto subito, anche col disprezzato Italicum, i 91 deputati M5s più gli altri 35 senatori Cinque Stelle hanno versato finora contributi previdenziali che verrebbero persi con le urne anticipate. Ma sono ancora di più, 209, i deputati del Pd a rischio pensione, e poi anche nella Lega, nel Misto, Sel, Forza Italia e Fdi. Il leghista Roberto Calderoli, un veterano che conosce bene come ragiona la truppa parlamentare, ha confessato il suo timore che la questione del vitalizio possa avere un peso non trascurabile: «Io le sento le chiacchiere in buvette tra i colleghi, soprattutto i più giovani. E nessuno, dico nessuno ha voglia di lasciare la seggiola prima del settembre 2017, perché solo allora la norma dà per acquisita l'intera legislatura ai fini pensionistici. E vuole che in nome della coerenza politica la gran parte di questi signori ci rinunci così facilmente?».

Ma è credibile che i peones siano disposti a votare la fiducia a chiunque, contro l'indicazione dei loro leader, pur di non perdere il vitalizio? Ragiona un altro vecchio come Pino Pisicchio, capogruppo del Misto: «Io credo nella politica, ma penso anche che quella cinquantina di parlamentari grillini arrivati in Parlamento da disoccupati o con lavori precari alle spalle alla scadenza qualche pensierino lo faranno, eccome...».

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