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"I sondaggi fallimentari? Colpa del tramonto delle identità politiche"

Il guru italiano delle rilevazioni: "Non sono i dati a sbagliare ma ciò che noi chiediamo"

"I sondaggi fallimentari? Colpa del tramonto delle identità politiche"

Milano - Nell'antichità. gli aruspici che sbagliavano le previsioni venivano scaraventati dalle rupi. Nella modernità, i sondaggisti che hanno dato per certa la vittoria di Hillary Clinton se la cavano con lo sbeffeggiamento planetario. Insieme alla ex first lady, rischia di essere l'arte dei forecast la vera vittima delle elezioni americane dell'8 novembre. Anche se Renato Mannheimer, guru italiano dei sondaggi, invita alla cautela: «Non è la fine del nostro lavoro», dice.

Perché mai, professor Mannheimer, dovremmo continuare a fidarci di voi? Poche ore prima del voto, il sito di Gad Lerner invitava i fan della Clinton a andare a dormire tranquilli, «Trump diventerà presidente solo se ci sarà il più macroscopico errore della storia dei sondaggi degli ultimi anni». Il macroscopico errore, a quanto pare, c'è stato. La sua categoria non si sente in colpa?

«No, assolutamente no. A essere sbagliato non è ciò che i sondaggi dicono a noi ma ciò che noi chiediamo loro. Una volta ho scritto un libro, Demoskoppiati?, per spiegare che i sondaggi non prevedono il futuro ma raccontano il presente, fanno una fotografia e non una profezia. Se adesso chiedo quanto vi piace il Giornale ottengo una bella fotografia, se chiedo quanti lo compreranno la prossima settimana è più difficile avere quadri precisi, perché le scelte cambiano in continuazione».

Beh, difficile immaginare che un distacco come quello inferto da Trump alla rivale sia maturato dopo le ultime rilevazioni.

«Non lo sapremo mai, ma certamente la quota di chi è rimasto indeciso sin all'ultimo era alta. D'altronde anche in Italia alle ultime europee il 30 per cento decise nel corso dell'ultima settimana. È il tramonto delle forme standardizzate di identità, che ai tempi della Prima Repubblica rendevano certamente più facile il nostro lavoro».

Secondo il Los Angeles Times, molti interpellati erano titubanti ad ammettere di votare Trump.

«Questo è un fenomeno noto da tempo, ed è uno dei motivi per cui fare previsioni è sbagliato e probabilmente inutile. È meglio spiegare la realtà attuale, il malessere di una parte americano nei confronti delle minoranze era indagato da decine di ricerche».

Ma quello è il lavoro dei sociologi, a voi si chiede di capire che aria tira! Non c'è un problema di tecniche di rilevazione sbagliate?

«Certo, limitarsi a chiedere per chi voterai rischia di essere fuorviante. Il contorno è fondamentale. Non a caso il sondaggio del Los Angeles Times che ha azzeccato la vittoria di Trump era fatto di venti domande. Vorrei aggiungere che il risultato americano è stato prodotto da una affluenza al voto assai più alta del previsto negli stati del Midwest, e questo ha alterato il campione di riferimento».

Comunque possiamo definire l'8 novembre la Waterloo nella storia dei sondaggi?

«Ci sono state catastrofi peggiori, come le elezioni israeliane, o da ultimo la Brexit, dove i sondaggisti hanno clamorosamente sottovalutato l'orientamento delle popolazioni extraurbane della Gran Bretagna».

Anche in quel caso si disse che la colpa era di molti intervistati che si vergognarono di dire che avrebbero votato per l'uscita. Ma perché la gente si vergogna sempre e solo di dire che vota «a destra»?

«Non è vero, una volta in Italia molti evitavano di dire che avrebbero votato comunista, poi venne il momento in cui negavano di votare democristiano. In genere direi che la gente fatica a dichiararsi dissidente rispetto al pensiero corrente, almeno come veicolato dai mezzi di comunicazione. É esattamente quanto è accaduto ora in America».

E adesso? Come dobbiamo prendere i sondaggi italiani sul referendum del 4 dicembre che danno il No avanti per distacco?

«Sono cose molto fragili».

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