"I trucchi del linguaggio che influenzano il voto"

L'esperto: "Il premier ha reso il No sinonimo di immobilismo. Il suo errore? Personalizzare"

"I trucchi del linguaggio che influenzano il voto"

Milano - «Se voti Sì vuol dire che vuoi Renzi al governo». «Se voti No allora l'Italia non cambierà mai». Eccoli i luoghi comuni che si rincorrono nelle conversazioni da bar sul referendum. E che fanno del voto una questione di tifoserie politiche pro o contro, senza che scatti realmente la voglia di approfondire. Che linguaggio hanno usato i politici durante la campagna per il 4 dicembre? Abbiamo approfondito la questione con Roberto Mordacci, preside della facoltà di Filosofia dell'università Vita-Salute San Raffaele di Milano e direttore del nuovo master in Retorica.

Professor Mordacci, quali sono le parole chiave di questa campagna referendaria?

«Rapidità, riduzione dei costi, cambiamento».

E come sono state declinate?

«Renzi ha insistito molto sul concetto di accelerazione, dicendo che ora tutto è lento a causa del bicameralismo e tutti dicono di voler cambiare ma nessuno lo ha mai fatto. Noi invece lo facciamo e siamo veloci, sostiene».

Il concetto di risparmio invece come è stato articolato?

«Ecco, questo è un tema più fragile, facilmente contestato. Il governo ha promesso risparmi per 50 milioni all'anno. Che fa un certo effetto se presa come cifra assoluta. Ma i grillini hanno ricordato che con i loro tagli hanno risparmiato 80 milioni all'anno. E hanno spuntato l'argomento».

Quindi la strategia di avvalorare i fatti con i numeri non è sempre una buona idea?

«Teniamo presente che i numeri mentono sempre. Sono la cosa meno obbiettiva fra tutte».

Altro concetto molto cavalcato: il cambiamento.

«Con questa parola Renzi ha superato il concetto di rottamazione che era un'arma a doppio taglio verso la classe politica e troppo a favore di Grillo, l'anti-casta, e di Berlusconi, l'imprenditore. I fautori del No non sono riusciti a controbattere in modo altrettanto forte. Hanno solo detto che il cambiamento ci vuole, ma non così».

Punto per Renzi quindi?

«Sì. Il suo vero colpo da maestro è stato dire che sulla scheda c'è scritto Sì o No, ma poteva esserci scritto Sì o mai più. Ha trasformato il No in un sinonimo di immobilismo».

Cosa pensa del linguaggio usato dal fronte del No?

«Non è entrato nel merito del referendum ma lo ha associato a un voto per far cadere o meno il governo. Cioè ha fatto passare il concetto che la riforma è sbagliata perché è stata scritta da Renzi-Boschi, come ha sostenuto lo stesso Zagrebelsky».

Però è stato Renzi stesso a dire che si sarebbe dimesso in caso di vittoria del No.

«Il primo a creare il binomio riforma-Renzi è stato proprio lui. E si è portato dietro questo errore fino ad oggi».

Su cosa ha fatto leva il centrodestra?

«Salvini ha fatto leva sulle emozioni, citando banche e poteri forti dell'Europa. Brunetta ha combattuto la paternità di Renzi. Berlusconi ha accusato la riforma di autoritarismo ma vi ha opposto il presidenzialismo, entrando in un circolo vizioso».

Nessuno ha insistito nel dire che per la prima volta non serve il quorum.

«Per la prima volta tutti dicono di andare a votare. In questo senso la campagna elettorale è più pulita perché dice chiaramente chi è per il Sì e chi per il No».

La gente secondo lei ha capito i contenuti della riforma o ha percepito solo l'idea di governo Sì-governo No?

«Molti hanno lottato per parlare dei contenuti: i costituzionalisti, i giornalisti, gli esperti che hanno spiegato i contenuti del referendum, le conseguenze del Sì e del No. Tutti hanno avuto numerose occasioni per informarsi e per farsi un'idea».

Le campagne sul referendum hanno associato «l'uomo nero» al No e il bianco al Sì.

Linguaggio subliminale pro governativo?

«Che il governo abbia un'opinione favorevole alla riforma non è un mistero e lo si è potuto percepire in diversi modi. Ma questa è solo comunicazione, non argomentazione».

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