Imam senza nome e zero autorizzazioni Le moschee illegali (e fuori controllo) dove si prega Allah

Viaggio a Milano tra i «luoghi di culto informali» Qui si venera il Corano ma una parola forte sulle stragi non si è ancora sentita

Imam senza nome e zero autorizzazioni Le moschee illegali (e fuori controllo) dove si prega Allah

Li chiamano «luoghi di culto informali». Ma sono moschee abusive. Il Comune di Milano ospita circa 100mila musulmani. E una miriade di centri religiosi, più o meno opachi, in cui ogni venerdì si ritrovano i fedeli guidati (in arabo) da imam di cui spesso niente si sa. Garage, magazzini, capannoni. Moschee abusive. Tutte, perché nessuno dei centri è ospitato in edifici che abbiano requisiti urbanistici e autorizzazioni necessarie. Ma non si interviene se non in casi eccezionali. È stato fatto a Cinisello Balsamo, dove il Comune ha ordinato il ripristino di stato di luoghi e destinazione d'uso di un capannone industriale in cui sono stati rilevati abusi.

A Milano si prega ancora. Si prega in una palazzina ex Aem di Cascina Gobba, in fondo alla turbolenta via Padova. Strada «multietnica» per antonomasia, a Milano, secondo un consigliere municipale Samuele Piscina si candida addirittura a diventare «un ghetto simile a quello di Molenbeek a Bruxelles». La Lega in zona 2 ha presentato una mozione per chiudere tutte le moschee abusive (ne ha contate quattro). Una è sede della «Bangladesh cultural & welfare association» in via Cavalcanti 8 e si trova al centro di un caso clamoroso: la «moschea» - denuncia il Carroccio - è in uno scantinato 8 metri sotto il livello del suolo, «non presenta alcuna finestra, condotto di areazione o uscita di sicurezza e risulta accatastato c/2, magazzino senza presenza di persone». I bengalesi però sono risultati fra i vincitori del bando con cui il Comune ha messo in palio tre aree destinate a luoghi di culto. Ha ottenuto gli ex bagni pubblici di via Esterle, 1.492 metri quadrati vicino a via Padova. Palazzo Marino, intervenuto dopo le denunce politiche e le proteste dei cittadini, ha rilevato interventi non autorizzati e un uso dei locali evidentemente abusivo (si parla di 250 persone al giorno). Dopo questa rilevazione e il contenzioso che ne è sorto, il Comune ha escluso l'associazione dal bando per via Esterle, ma la giustizia amministrativa l'ha reintegrata. E ora si attende il giudizio di merito.Non meno complessa la vertenza dell'altro lotto messo a bando, in via Sant'Elia (l'ex Palasharp): il Comune ha verificato che anche un'associazione turca facente parte della cordata vincitrice (legata al Coordinamento delle associazioni islamiche) deve essere esclusa per un piccolo precedente a carico di un dirigente. Problema ulteriore, fra l'altro, è che questa Milli Gorus viene citata in una «black list» governativa tedesca (e un'altra sigla milanese è inserita in un rapporto simile, negli Emirati Arabi).

A Milano Milli Gorus si riunisce in via Maderna: i vigili qui erano già intervenuti: «Erano stati rimossi minareti sul tetto e altre strutture non previste» racconta l'ex vicesindaco De Corato, che pochi giorni fa ha presentato un'interrogazione su nuovi lavori segnalati nella sede. Se l'area Palasharp (5mila metri quadrati) andasse alla seconda in «classifica», toccherebbe all'Istituto di viale Jenner, noto per la preghiera sui marciapiedi, per l'imam condannato e per essere stata definita 20 anni fa «la principale base di Al Qaida in Europa». In realtà, per la Regione, nessuna delle tre aree del Comune oggi potrebbe ospitare il culto, se non con una variante (che non ci sarà prima del voto).

Intanto è stata bocciata dalla maggioranza in zona 4 una mozione leghista per chiudere un altro centro di preghiera «informale» in via Cosenza (si parla di «laboratorio per arti e mestieri»). E mentre la sinistra cincischia, il candidato del centrodestra Stefano Parisi avverte che la moschea «non è una priorità».

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