Il peggior nemico della giustizia, troppo spesso, è chi al contrario dovrebbe far rispettare la legge. Un cortocircuito tutto italiano che riempie quotidianamente le pagine dei giornali e che rimette al centro l'esigenza di una riforma drastica dell'intero sistema giudiziario. Non basterebbe, infatti, spazzar via le depenalizzazioni volute da Matteo Renzi per risolvere un problema che è ormai mastodontico e che ha nomi e cognomi, ovvero quelli di magistrati che firmano sentenze assurde. Come è possibile, per esempio, che un pusher tunisino, beccato con chili di hashish, marijuana, coca ed ecstasy, sia stato subito liberato dopo aver dichiarato che spacciava “per necessità” avendo “perso il lavoro” e non sapendo come sbarcare il lunario? O come è possibile che la Corte di Appello di Ancona non abbia riconosciuto lo stupro di una ragazza perché questa “sembra un maschio”? O come è possibile che ad un assassino sia stata scontata la pena perché, a detta del magistrato, avrebbe “agito come reazione al comportamento” della vittima? Ognuno di questi giudici si difenderà garantendo di aver interpretato al meglio la legge. Ma chi ci difende da certe normative assurde o dal buonismo di certe toghe? Troppo spesso, infatti, le vittime rischiano di pagare (o di morire) due volte. È nei gangli della burocrazia e nei faldoni dei codici che malviventi, delinquenti e balordi trovano un appiglio per farla franca. Proprio come quegli immigrati che avevano richiesto l'asilo in Italia per i motivi più disparati e che nel frattempo facevano parte di un “pericoloso gruppo criminale” che spacciava eroina e cocaina ai ragazzini nei parchi di Pordenone. Come sempre le forze dell'ordine hanno fatto un ottimo lavoro e li hanno assicurati alla giustizia. Ma la giustizia farà la sua parte? Speriamo di sì, ma i dati forniti dal Viminale ci dicono che in media due arrestati su tre tornano subito in strada a spacciare. Lo stesso vale con i ladri. Qualche settimana fa un giudice del Lazio aveva lasciato a piede libero, senza neanche l'obbligo di firma, due balordi che avevano svaligiato un appartamento. Uno dei due aveva persino precedenti ma, visto che non aveva rubato per sette anni, il magistrato non aveva tenuto conto della reiterazione del reato. “Mi chiedo che ci stiamo a fare in mezzo alla strada, a correre, al freddo, ad ammazzarci, a rischiare la pelle...”, si era sfogato un poliziotto parlando col Giornale. Sempre più spesso, gli agenti non procedono nemmeno più con l'arresto quando sanno che a Palazzo di Giustizia il delinquente troverà una toga pronto a rimetterlo in libertà. “Vediamo malviventi, spesso clandestini, lasciati liberi dopo che con tanto sacrificio li abbiamo presi – fanno sapere dal Sap – spesso passano anni per i processi e in tribunale non si presenta nessuno, perché questa gente sparisce”. Quando, poi, si arriva a sentenza, troppo spesso si hanno sorprese che lasciano l'amaro in bocca e l'ira addosso. Come la decisione di risarcire con appena 21mila euro la famiglia di David Raggi, il giovane sgozzato a Terni da Amine Aassoul, marocchino senza permesso di soggiorno e con una fedina penale da far spavento. Briciole che sono un pugno nello stomaco, soprattutto se confrontati con i 135mila euro che l'anziano Ermes Mattielli è stato condannato a risarcire ai due ladri rom a cui aveva sparato quando gli erano entrati in azienda per derubarlo. Per i giudici non fu legittima difesa ma tentato omicidio.
Fortunatamente, nelle prossime settimane, la riforma della legittima difesa sarà legge e chi si difende dai balordi non dovrà più sopportare ingiusti calvari giudiziari. È auspicabile, però, che vengano varate nuove normative anche per difenderci da certe toghe buoniste che stanno sempre dalla parte dei criminali umiliando così le vere vittime.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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