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Intercettati i giornalisti che si occupano degli affari delle Ong

I cronisti (non indagati) ascoltati con le fonti. Il nodo del segreto professionale violato

Intercettati i giornalisti che si occupano degli affari delle Ong

Giornalisti non indagati ma intercettati. E le fonti, da tutelare, se ne vanno alla malora. Nel calderone dell'inchiesta di Trapani sulla Jugend Rettet, Save the Children e Medici senza frontiere di giornalisti intercettati ce ne sono finiti parecchi. Sono quelli che nel 2016 avevano contatti con la Libia o si erano recati lì come inviati per redigere reportage in un periodo storico in cui i viaggi della speranza nemmeno si contavano con oltre 180mila migranti che sono poi arrivati sulle nostre coste e tanti sono finiti in fondo al mare. Nel fascicolo si annoverano centinaia di pagine di intercettazioni, trascritte e depositate, con nomi di fonti, di contatti, di dati e di rapporti personali. Il fine ultimo della procura, di fare chiarezza sullo scenario libico, giustifica anche il mezzo usato, quello delle intercettazioni, malgrado intacchi la sfera del segreto professionale del giornalista, tutelato dal codice di procedura penale. Parliamo di quel rapporto inviolabile di fiducia che si instaura tra il giornalista e la fonte confidenziale, che spesso viene riportata nell'articolo, altre volte no, quando ciò è richiesto dal carattere fiduciario della fonte stessa. Ciò, in un contesto delicato come quello libico di quegli anni, è innegabile.

Tra gli intercettati, come anticipa il Domani, c'è il nostro Fausto Biloslavo, che figura con altri colleghi come Nancy Porsia, esperta di Libia, che è stata intercettata persino nelle sue telefonate con il proprio legale, e poi cronisti del Fatto Quotidiano, di Avvenire, Radio Radicale, Report e Francesca Mannocchi che ha realizzato inchieste in Libia. Anche Biloslavo in quegli anni era in Libia per toccare con mano cosa stesse accadendo anche attraverso i racconti delle fonti. «Male non fare, paura non avere dice Biloslavo - Come categoria non siamo al di sopra della legge, ma le fonti vanno tutelate, bisogna rispettarne la riservatezza. Del resto, almeno per quanto mi riguarda, i miei reportage hanno raccontato anche la crisi dei migranti e della Libia. Sono stato il primo ad affermare ciò che solo adesso, dopo 4 anni, viene confermato dalle indagini, ovvero che i 3 trafficanti che si trovavano sul gommone fotografato sotto la nave Vos Hestia erano appartenenti al clan al-Dabbashi. Era il 2017 e io mi trovavo in Libia a indagare sui trafficanti, sui migranti, sugli interventi delle Ong. Mi sono anche recato a Sabrata, nota per le partenze dei viaggi della speranza, e sono entrato nei centri di detenzione dei migranti».

Come stanno realmente le cose? «La situazione è molto delicata risponde un magistrato - Il segreto professionale del giornalista è sacrosanto, ma non è connesso alla persona quanto alla funzione, al ruolo che in quel momento il cronista sta svolgendo. Voglio dire che ciò che interessa le indagini è se il giornalista incontrando qualcuno o sentendolo per telefono non si renda lui stesso in qualche modo un facilitatore, uno che in quel momento, consapevole o meno di ciò, stia favorendo qualcosa di illegale. Ai fini delle indagini interessa se il giornalista è al corrente di traffici.

Allora non si può più tutelarne le fonti».

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