Roma - «Gli è scappata la frizione». In casa Pd la sfuriata anti-politica del loquace neo leader del sindacato dei magistrati, Piercamillo Davigo, nell'intervista con Aldo Cazzullo sul Corsera, viene accolta con un misto di stupore e di irritazione.
«Intervista nostalgica, come se volesse tornare ad essere quello che è stato nel '92 - dice Andrea Romano - ma nel frattempo l'Italia è cambiata». Il responsabile giustizia del Pd, David Ermini, avverte via Twitter: «Le parole di Davigo fanno paura per primi ai magistrati. Cerca la rissa, ma non la troverà». Il senatore Francesco Russo lo invita a «non fare di tutta l'erba un fascio, che significa svilire il nostro e il vostro lavoro. Alimentando la sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni. Ma senza istituzioni credibili, come lei sa meglio di me, non c'è democrazia».
La linea del Nazareno, passate le prime reazioni di getto, è quella del silenzio: non raccogliere le provocazioni, lasciare che il capo del sindacato delle toghe «esaurisca il suo tour di giornali e tv», come ironizza un dirigente, durante il quale è prevedibile «che continui a spararle sempre più grosse, per far rumore». Nella convinzione che, come adombrava Ermini, il suo tentativo di alzare il livello dello scontro preoccupi per primi proprio i magistrati, che non vedono di buon occhio un nuovo corpo a corpo con la politica che rischia di trascinarli in una deriva filo-populista. Non a caso, mentre l'ex capo dell'Anm Palamara e il Csm lo criticano, il grillino Luigi Di Maio si precipita a dare al magistrato la sua «solidarietà per gli attacchi del Pd» e a mettere il cappello sul Davigo-pensiero, traducendolo in gergo pentastellato: «I partiti devono fare pulizia, ormai sono solo comitati d'affari». Si accoda anche il leghista Matteo Salvini, annunciando di voler incontrare Davigo, «che conosco e stimo», richiamandolo però a fare «accuse circostanziate»: «Chi rappresenta i magistrati non può dire che i politici rubano, i tassisti rubano, le maestre picchiano». Si intuisce però l'idea, comune a Cinque Stelle e Carroccio, che il nuovo leader della magistratura associata possa diventare la testa di ariete dell'assalto al Palazzo d'Inverno renziano.
In casa Pd c'è un sospetto: che dietro l'attacco a testa bassa si nasconda «l'urgenza di tentare di bloccare le riforme», a cominciare da quella della Costituzione (contro cui infatti si schiera apertamente Magistratura democratica), perché, spiega un esponente renziano, «dopo il referendum di ottobre una politica e un governo più forti potrebbero finalmente aprire la strada ad un riequilibrio dei poteri». Contro quella «barbarie giustizialista» denunciata senza giri di parole dal premier Renzi.
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