Italia, ormai è recessione. E l'Europa fa finta di niente

Nuovo allarme del Fondo monetario internazionale Standard & Poor's e Istat certificano la crisi, l'Ue tace

Italia, ormai è recessione. E l'Europa fa finta di niente

Due settimane, al tempo del coronavirus, sono un'eternità. Da metà febbraio a oggi, le misure di profilassi non hanno impedito l'estensione geografica del contagio, ormai sulla linea di demarcazione fra epidemia e pandemia. E identica è stata l'accelerazione del deterioramento a livello economico. Un peggioramento che agisce come una scure sulle previsioni di crescita per l'anno in corso. Ieri anche il Fondo monetario internazionale si è arreso all'evidenza. Il virus è una «grave minaccia» e rallenterà nel 2020 l'aumento della ricchezza globale al di sotto del 2,9% registrato l'anno scorso, ha ammesso la numero uno dell'Fmi, Kristalina Georgieva (nella foto piccola). Nessuna percentuale messa nero su bianco, ma almeno mezzo punto di Pil se lo porterà via il Covid-19 visto che in gennaio l'organizzazione di Washington aveva previsto per quest'anno un +3,3%.

La stima è una media e nasconde, ovviamente, situazioni molto variegate. Difficile, per esempio, che l'Italia si mantenga sopra la linea di galleggiamento. L'Istat ha confermato ieri una contrazione del prodotto lordo pari allo 0,3% nel quarto trimestre. È un andamento a ritroso riconducibile all'ormai cronica debolezza strutturale. Il fenomeno esogeno, cioè l'insinuarsi del virus nelle aree più produttive, complica le cose e consegna il Paese nelle mani delle recessione. Da Ref-Ricerche al al Centro studi di Confindustria, nessuno si illude più sulla possibilità di rimettere in bolla l'economia. Non si scappa: i due trimestri consecutivi di contrazione, ovvero una recessione tecnica, sono già stati messi a bilancio. Anche perché, già a fine marzo, mancherà quella domanda estera che nel 2019 ha attutito la caduta. Trema anche l'Eurozona: sempre ieri, S&P ha ghigliottinato, dall'1 allo 0,5%, le previsioni di crescita 2020 sottolineando che l'Italia andrà il recessione.

L'interrogativo è su quanto la crisi sarà grave e quanto durerà. Il presidente della Banca Mondiale, Malpass, ha ieri centrato il punto: «Velocità e ampiezza della risposta sono cruciali per la sua efficacia». L'istituto ha già stanziato 12 miliardi di dollari per sostenere in particolare i Paesi emergenti e in via di sviluppo. Basteranno? Probabilmente no, se il gesto rimarrà isolato. L'Fmi ha pronti 50 miliardi di aiuti da mettere sul tavolo, ma il G7 promette e non agisce; fa il paracarro l'Europa, incapace di trovare una linea d'azione condivisa. Invocare un new deal mondiale, o fondi sovranazionali da centinaia di miliardi suona un po' stonato davanti al nulla. O quasi. Visto che, di nuovo, si chiede alle banche centrali di surrogare l'inazione della politica. Imbrigliata, a livello comunitario, dalle regole tafazziane che si è imposta e che, nel migliore dei casi, concederanno all'Italia l'elemosina di 3,6 miliardi di extra-deficit.

Se ieri Wall Street ha in parte rialzato la testa (+3% a un'ora dalla chiusura; bene anche Milano con un +0,91%) è solo grazie all'affermazione dell'ex vice presidente, Joe Biden, nel Super Tuesday. Ma il martedì nero subìto da New York rimanda al cuore del problema: anche un taglio netto dei tassi, come quello deciso dalla Fed, può poco senza misure concertate su larga scala e se non ci si preoccupa di colmare i buchi creati dall'interruzione della catena di approvvigionamenti e dal calo della domanda globale. La Bce, nella riunione di giovedì prossimo, ha l'occasione per dare il segnale di una regia comune, anticipando le possibili mosse della Banca del Giappone e di quella d'Inghilterra. Antonio Tajani , vicepresidente di Forza Italia e del Partito popolare europeo, ha proposto ieri all'istituto guidato da Christine Lagarde di riportare ad almeno 60 miliardi di euro mensili l'acquisto di obbligazioni pubbliche e di abbassare da -0,5 a -0,6% i tassi sui depositi.

E, al tempo stesso, di garantire più liquidità alle banche, liberandole inoltre dall'obbligo di ridurre i crediti in sofferenza. Infine, mani più libere anche per la Bei sul fronte degli investimenti nell'Unione. Misure di emergenza, insomma. Probabilmente indigeste ai custodi dell'ortodossia monetaria.

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