Italia senza coraggio per il caso Prodi nessuno fece niente

Coraggio e chiarezza. Quel che manca da noi.

Italia senza coraggio per il caso Prodi nessuno fece niente

Coraggio e chiarezza. Quel che manca da noi. Inutile azzardare paragoni: Vienna è lontana da Roma e la decisione, clamorosa, della Corte costituzionale austriaca in Italia sarebbe inimmaginabile. Forse potrebbe starci in una fiction, ma nella realtà ciascuno è libero di coltivare l'arte del sospetto, del dubbio, del retropensiero velenoso. Perché l'intervento della Consulta - insomma l'ordine di ripetere le elezioni, come a Vienna - verrebbe inteso come un golpe, farebbe strillare le vergini della democrazia, provocherebbe una grave lacerazione istituzionale.

E però, a ben vedere, le elezioni politiche del 2006, quando Prodi sconfisse Berlusconi sul filo di lana per 24mila voti, un niente, uno zero virgola, forse si prestano a un ragionamento. Forse a Vienna avrebbero deciso per un bis. Ricordate?

Il risultato al fotofinish. E poi i dieci scatoloni con le schede ritrovati in una via di Roma. Ancora le incredibili notizie giunte dal Sudamerica e da altri paesi lontani: persone che non avevano mai ricevuto la scheda e altre che avevano messo la croce per figli, mogli e parenti vari, con una sorta di voto multiplo.

Irregolarità. Errori. Forse brogli. In certi casi ci vuole coraggio. Che poi è fratello gemello del buonsenso. Se il risultato non è limpido, se ci sono state alterazioni o forzature e alla fine la differenza fra gli schieramenti è racchiusa in un decimale, meglio tornare alle urne.

Figurarsi. La Corte austriaca è stata chiusa in una sorta di conclave per quasi 40 giorni, poi ha annullato il risultato. In Italia, piccolo dettaglio, non si sa nemmeno chi sia l'arbitro. Sul diritto al voto è competente il giudice ordinario, sulle questioni procedurali quello amministrativo. Così vai in tribunale e magari il tuo ricorso rimbalza al Tar che intanto litiga con il giudice civile. Passano mesi e poi anni, in un labirinto che rende opaca e incerta la democrazia.

Così una decisione metà tecnica e metà politica diventa ostaggio di mille attori e del gioco perverso delle insinuazioni, delle ombre e del non detto. A Vienna non è così: «In Austria - nota il professor Mario Esposito, ordinario di Diritto costituzionale all'università del Salento - la materia elettorale è di competenza della Corte costituzionale. E questo dovrebbe farci riflettere seriamente». I giudici hanno discusso, hanno scoperto una serie di anomalie, per esempio sul voto per corrispondenza, non hanno avuto paura. Ma parafrasando Manzoni, il coraggio uno non se lo può dare se non ce l'ha. Se le regole sono incerte. Se il campo è troppo affollato. Se le sentenze vengono lette con la lente della partigianeria e alla fine non ci si fida di un'autorità comune.

La Corte austriaca nasce dalla lezione di un giurista straordinario come Hans Kelsen, è considerata un faro per tutta Europa, quando c'è da picchiare duro va giù senza se e senza ma, come ha fatto tirando giù il bail-in perché attenta al diritto di proprietà.

Sentenze limpide senza la cipria della retorica.

Ma anche una prova muscolare di rapidità ed efficienza. Non è provincialismo scrutare allo specchio la sfida del 2006 fra Prodi e il Cavaliere e quella, dieci anni più tardi, fra Van der Bellen e Hofer. Riforma per riforma, Vienna avrebbe molto da insegnarci.

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