Gli italiani non si fidano: fallisce l'"oro alla Patria". Un flop l'asta dei Btp

Le famiglie non comprano il debito, come sperato dal governo: piazzati solo 481 milioni

Gli italiani non si fidano: fallisce l'"oro alla Patria". Un flop l'asta dei Btp

La domanda che prima si facevano solo gli addetti al settore è diventata di dominio pubblico. In sintesi: visto che ormai nemmeno le famiglie italiane comprano titoli di Stato italiani, come farà lo stato a piazzare le sue obbligazioni? L'asta dei Btp Italia, una delle forme di investimento più popolari tra i privati italiani, ultimo punto di riferimento per quello che resta dei «bot people», ha raccolto poche adesioni. Piazzati circa 481,3 milioni di euro, contro i più di due miliardi della precedente emissione nel primo giorno. Ieri la domanda si è fermata a 241,3 milioni. Colpisce il numero di contratti chiusi il giorno dell'esordio: circa 8 mila. In sostanza, persino i militanti dei partiti di governo, Lega e M5s, hanno rifiutato di dare l'oro alla patria.

Vero che il collocamento è solo agli inizi. Ma se «i ritmi di sottoscrizione dovessero essere questi, il collocamento si concluderà al di sotto del 50% rispetto all'ultima emissione, ovvero a meno della metà», ha commentato Renato Brunetta. «Non ci voleva un esperto di finanza - aggiunge l'esponente di Forza Italia - per capire come un debito da 2.300 miliardi di euro come quello italiano non può essere rifinanziato contando solo sul sostegno delle famiglie».

Insostituibile il supporto delle banche e dei grandi investitori italiani ed esteri. «Esattamente quelli che il governo gialloverde ha fatto scappare in tutti questi mesi con la sua propaganda. Gli italiani hanno dimostrato di non fidarsi di questo esecutivo». Il rischio è che il Tesoro «buchi un'asta, ovvero gli investitori non si presenteranno più ad acquistare i titoli di Stato»

Insomma, spiega Alessandro Bonetti, chief analyst di Bp Prime, «il mancato successo del collocamento di Btp Italia dipende dal forte aumento di avversione al rischio nei confronti dei titoli di Stato italiani, che ha portato sia i clienti retail che istituzionali ad evitare di acquistarli, in quanto reputati troppo rischiosi per il rendimento offerto».

Per fare di meglio, insomma, servono rendimenti più alti di quelli attuali. Ma a questo punto gli interessi sul debito diventerebbero un costo insostenibile per lo Stato.

Anche per questo negli ultimi tempi circolano altre idee. Forme alternative di «oro alla patria». Non la donazione delle fedi nuziali allo Stato del 1935, risposta del regime fascista all'isolamento internazionale nel quale si trovò l'Italia dopo l'invasione dell'Etiopia.

C'è la versione benevola studiata dal sottosegretario leghista Armando Siri: i Cir, Conti individuali di risparmio basati sulla detassazione (non imponibilità dei rendimenti ed esenzione dalla imposta di successione) degli investimenti in titoli di stato italiani sottoscritti da cittadini italiani.

Poi c'è la versione tedesca. Proposta dall'economista della Bundesbank Karsten Wendorff che consiste - sempre per rimanere nel campo delle analogie con il XX secolo - nel prelievo del 20% dei risparmi degli italiani per trasformarli in titoli remunerati di debito pubblico. Un prestito di guerra in tempo di pace.

Ma si può considerare oro alla patria anche la prospettiva di una patrimoniale sulle ricchezze. Alternativa comoda ad una gestione del debito pubblico basata sul ricorso al mercato. È oro alla patria anche il disincentivo alla delocalizzazione di imprese italiane, una sorta di obbligo a restare in patria, a subire un fisco poco competitivo.

A ben

guardare l'oro alla patria, comunque lo si interpreti, è un surrogato della credibilità delle istituzioni e dei governi. Con il rischio che, alla fine, ci si accorga che l'oro degli italiani da dare alla patria è esaurito.

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