Gli italiani trucidati in Libia trattati come morti di serie B

Per i poveri Failla e Piano nessuna campagna verità e nessun «sit in» di protesta come per Regeni. E la beffa di un premier che chiede solo per loro: "Che ci facevano lì?"

Gli italiani trucidati in Libia trattati come morti di serie B

Nessuna campagna «verità», sit in davanti alle ambasciate, proclami del Parlamento europeo per Salvatore Failla e Fausto Piano, i due lavoratori italiani prima presi in ostaggio e poi ammazzati in Libia. Una decina di giorni di articoli ed il caso sembra chiuso con i funerali degli sfortunati connazionali, soprattutto sui giornaloni, che invece continuano a battere, giustamente, sulla tragica fine al Cairo di Giulio Regeni.Sembra quasi di trovarsi di fronte a morti di serie B, i lavoratori italiani tornati dalla Libia in una bara e quelli di serie A, come lo studente friulano trasformato in «martire» d'Egitto. Amnesty international e il quotidiano la Repubblica hanno lanciato una campagna «verità su Giulio Regeni» guardando solo in una direzione. Nessuno si sognerà di fare altrettanto per i due ostaggi italiani ammazzati nel deserto in circostanze ancora tutte da chiarire. Lo studente friulano è diventato il simbolo del politicamente corretto, Failla e Piano erano solo umili e silenziosi migranti con nessun grillo ideale per la testa, che in Libia portavano a casa la pagnotta.Se l'ex regno di Gheddafi è nel caos, l'Egitto viene dipinto come una dittatura sudamericana quasi altrettanto pericolosa. Il premier Matteo Renzi, nel salotto televisivo di Canale 5 si chiedeva perché i tecnici italiani rapiti fossero andati in Libia nonostante gli allarmi del governo.

Non si è mai chiesto se Regeni doveva stare più attento a trattare temi delicati al Cairo o uscire di casa il giorno in cui è sparito, anniversario della rivolta di piazza Tahrir, nonostante gli avvertimenti della Farnesina.Davanti all'ambasciata egiziana, nel nome della verità a senso unico sul ricercatore torturato, sono stati organizzati sit in della decotta società civile. Nessuno farà la barricate davanti a quella libica per chiedere una verità a 360 gradi sulla tragica fine dei due ostaggi italiani.Quasi cinquemila accademici hanno firmato una petizione internazionale per far luce sul caso Regeni lanciata dagli stessi referenti universitari di Cambridge che sono responsabili di aver sottovalutato il rischio o, peggio, di aver mandato il ragazzo italiano allo sbaraglio. Non c'è traccia, per ora, di una petizione internazionale dei sindacati per non lasciar cadere nell'oblio i tanti punti di domanda sulla triste fine di Failla e Piano. E neppure di un coinvolgimento del Parlamento europeo, come è avvenuto nel caso Regeni.Molti politici nostrani hanno fatto ancora una volta una figura meschina.

Gli stessi che giocano al tiro al bersaglio con il regime egiziano sul caso Regeni difendono a spada tratta il governo italiano, che qualche peso sulla coscienza dovrebbe averlo per come è andata a finire la storia degli ostaggi. Nel caso di Failla e Piano non risulta che abbiano sollevato il problema dell'avallo del governo Renzi al raid americano a Sabrata, che ha rotto l'equilibrio locale facendo rischiare la pelle a tutti gli ostaggi, anche i due tornati a casa. E soprattutto provocando una reazione a catena sfociata nella morte di Failla e Piano. Non c'è da stupirsi se gli stessi giornaloni, che puntano, non a torto, il dito contro il presidente egiziano Al Sisi, non fanno lo stesso con Renzi chiedendo lumi sul fatto che lui ed il capo dello Stato erano informati del raid Usa, che ha dato inizio al disastro degli ostaggi di Sabrata. E non abbiano alzato un dito almeno per rinviare l'attacco.Ancora più disarmante la reticenza della politica e del governo sul ruolo jihadista dei tunisini delle bandiere nere vissuti pure da noi, nel rapimento degli ostaggi italiani. Valeria Solesin, ammazzata dallo stesso genere di canaglie a Parigi, è diventata un'eroina italiana, pure lei simbolo del politicamente corretto.

A Failla e Piano, sequestrati da criminali comuni con leggere tinte islamiche secondo il governo, non possiamo appuntare neppure questa «medaglia» alla memoria. Un beffardo paradosso che rischia di far perdere ai loro familiari i 200mila euro riconosciuti per legge dallo Stato ad ogni vittima del terrorismo.

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