Jacobs, Birkenstock e influencer L'eleganza dalla testa ai piedi

Con una sarabanda di tinte, tessuti e ricami, lo stilista americano ha chiuso le sfilate per la primavera/estate 2018

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New York Le note struggenti della Wally di Catalani cantata da Wilhelmenia Wiggens Fernandez per la colonna sonora di Diva, indimenticabile film del 1981, si sono appena spente nella mastodontica hall del Park Avenue Armory dove da tempo sfila Marc Jacobs.

Lui esce dal backstage come al solito di corsa per raccogliere gli applausi che stranamente non sono calorosi quanto meriterebbe questa bella collezione che segna la fine della fashion week newyorkese per la primavera/estate 2018. Un potente collega della stampa inglese la definisce addirittura «sloppy and lazy», sciatta e pigra mentre a noi sembra invece geniale: il miglior prodotto di un viaggio immaginario dopo i romanzi che Emilio Salgari scrisse sulla Malesia senza esser mai andato più in là del Porto di Brindisi. «Negli ultimi mesi ho fatto un giro nella mia testa e sono andato da qualche parte dove s'intrecciano fantasia e realtà attraverso silhouette sportive esagerate, decadenti ed esotiche» spiega Jacobs in una nota ufficiale in cui tra l'altro parla delle passate stagioni rivisitate non si sa bene dove al di là del paesaggio urbano di New York. Lo show comincia con un tailleur pantaloni oversize arancione catarifrangente per poi declinare con un fantastico gusto della decorazione abiti lunghi sberluccicanti, impermeabili di gomma, completi pinocchietto e anorak, cappottini anni '50, top di perle colorate, scarpe e borse da perdere la testa oltre a una sarabanda di tinte, tessuti e ricami.

Certo di nuovo non c'è niente, ma non ci sono neanche drammatici errori come quello che fece scrivere al buon Salgari «Ah Ah disse Yanez, in perfetto dialetto malese». La verità è che il mondo della moda è di una crudeltà efferata e dopo aver esaltato per anni il lavoro di Marc Jacobs adesso gli gira compatto le spalle perché sembra che il suo business non stia andando bene e che il potente Gruppo Louis Vuitton Moet Hennessy voglia uscire a tutti i costi dalla compagine societaria. Non è la sola voce che gira incontrollata a bordo passerella, si parla ad esempio del cachet percepito da Raf Simons per il suo lavoro da Calvin Klein: dicono dieci milioni di dollari l'anno più potere illimitato nella scelta e nei compensi dei collaboratori, una specie di Fabio Fazio della moda, molto più bravo del conduttore ligure.

Invece su Giovanna Battaglia Engelbert e sull'uscita della sua divertente biografia, Gio Graphy fun in the Wild World of Fashion, 220 pagg. Rizzoli New York, non circolano cattiverie e già questo è un miracolo perché l'invidia scorre a fiumi in questo bell'ambientino. Il libro è stato presentato con un magnifico evento danzante sul marciapiedi davanti alle vetrine che la bella e brava stylist ha curato per Bergdorf & Goodman. Tra gli altri eventi mondani della fashion Week americana c'è stato il pop up store allestito da Barneys per festeggiare il lancio delle Birkenstock limited edition in pelo e pelle. Con l'occasione è stato lanciato anche il concetto di retail mobile negli Stati Uniti.

Al Nassau County Museum of Art di New York è stata invece inaugurata la retrospettiva Glamour Icons su 40 anni di carriera dell'industrial designer Marc Rosen. Tra i pezzi più ammirati il lussuoso packaging creato per lo per lo skincare di Lucia Magnani.

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