Lei si chiama Katrina, ha 34 anni, ed è un ingegnere tedesco. Il suo bikini bianco ricamato ha lo stesso colore bianco delle sdraio bianche che, come un recinto dell'orrore, delimitano la zona di spiaggia dove è avvenuta la carneficina. In mano ha dei fiori rossi, lo stesso colore del sangue ormai raggrumato che ancora sporca ombrelloni e teli da bagno. Lei, Katrina, ha deciso di sfidare il califfato della morte rimanendo lì, nello stesso hotel dove, con la madre, aveva prenotato una settimana di vacanza. Il 90 per cento dei clienti del resort oggi sono già ripartiti, ma lei e la madre no: «Noi rimaniamo qui, non la daremo vinta agli assassini...».
Ieri Katrina è divenata un'icona: le sue foto (scattate da Darko Vojinovic, fotoreporter di Ansa/Ap), mentre depone dei fiori sul lido del terrore, hanno fatto il giro del mondo. Lei che piange, l'icona di un mondo che si commuove. Ma che deve anche «resistere» e reagire. E questo quelle foto non lo evidenziano. Per questo ora Katrina tiene a precisare che quella sua preghiera, quel suo omaggio floreale, non sono il gesto di una persona sconfitta, piegata, rassegnata; esattamente il contrario: «Dobbiamo opporci ai signori del male con il coraggio di chi sa di essere dalla parte giusta...». «Dobbiamo combattere» - sì, “combattere” - Katrina usa proprio questo verbo, che sembra, solo apparentemente, confliggere con la remissività di quello scatto che la raffigura afflitta davanti allo scenario che poche ore prima l'ha trasformata da potenziale vittima a sopravvissuta alla strage. «Ero con mia madre sulla spiaggia - ha raccontato Katrina alla stampa tedesca -, come gli altri ho sentito gli spari, e sono fuggita. Per quel gesto mi sento ora in colpa, ma è stata la normale reazione di chi avverte che qualcosa sta minacciando la tua esistenza: come davanti a uno tsunami, un terremoto, una calamità naturale che vuole trascinarti via...». Il day after di Katrina è stato un «giorno dopo» di rimpianti, rimorsi, rammarichi, ma anche di tanta voglia di reagire, di urlare: «Non abbiamo paura di voi e non ci farete abbassare la testa». Per questo sono andata dal fioraio, ho comprato delle rose e le ho portate nel luogo da dove ero scappata... i miei vicini di ombrellone non ce l'hanno fatta. E come loro, tanti altri. Non li dimenticherò mai. Li porterò sempre nel mio cuore».
Come porterà sempre, nei suoi occhi, l'immagine di un ragazzo in magliette e bermuda. Con un grande fucile tra le mani. «Sembrava uno di quei fucili che spruzzano acqua, per gioco». Era invece un kalahnikov, vero. Carico di proiettili. Da esplodere contro il mondo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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