Le lacrime della mamma: "Vergogna"

L'angoscia della donna all'udienza. Due tassisti indagati per stupro

Le lacrime della mamma: "Vergogna"

Ha la barba lunga, lo sguardo fisso davanti a sé. Non lo muove mai, sa che la barriera di agenti della polizia penitenziaria alla sua sinistra gli fanno da scudo, per proteggerlo dagli occhi della mamma di Pamela, Alessandra Verni. Innocent Oseghale non ce la fa a guardare quella donna piccola piccola, stretta nella maglietta rosa attillata con sopra l'immagine della figlia con una coroncina in testa, che ha sezionato facendola in dodici pezzi per nasconderla dentro due trolley. E, secondo la Procura di Macerata, ha anche violentato, approfittando del fatto che fosse «fatta» di eroina, e ucciso, proprio quando la diciottenne gli chiedeva, lo pregava, lo minacciava di chiamare la polizia se non le avesse fatto prendere quel treno, che alle 14 partiva per riportata a Roma, a casa, dalla sua famiglia.

Ieri durante la seconda udienza del processo in Corte d'Assise è emerso che il nigeriano avrebbe fatto scempio di quel corpo, solo per paura, per terrore, di non sfidare l'ira della sua compagna italiana Michela Pettinari, che aspettava suo figlio e avrebbe potuto scoprire che lui aveva avuto un rapporto sessuale con la ragazza tossicodipendente. Oseghale ha difeso la sua famiglia, con due fendenti sferrati al corpo di Pamela, almeno secondo quanto raccontato ieri dal supertestimone dell'accusa, Vincenzo Marino. Che ha parlato anche dei rapporto orale e poi completo, consumato alla svelta dallo spacciatore con la giovane sotto un ponticello dei giardini Diaz. E di nuovo a casa.

La mamma di Pamela ascolta tutto, particolari sessuali che fanno male, mentre con la mano stringe la collanina con sopra il nome della figlia, che porta al collo. Ma poi scoppia in lacrime, mentre l'avvocato Marco Verni, suo fratello oltre che legale della famiglia, le passa il braccio attorno al collo. Marino, infatti, a metà della sua testimonianza dice quello che nessuna mamma vorrebbe sentire quello che, secondo lui, in massima confidenza il «macellaio», come Oseghale era stato ribattezzato dai detenuti del carcere di Ascoli, gli avrebbe raccontato. Alessandra sente della prima coltellata data dal nigeriano alla figlia, per impedirle di allontanarsi dall'appartamento. Poi, al suo rientro dai giardini Diaz dove aveva incontrato un amico per avere consigli sul da farsi, convinto sia morta, Oseghale inizia a tagliare una gamba alla ragazzina. Pamela, si muove, si lamenta. La belva allora, la finisce con un secondo fendente. Alessandra Verni ascolta, è una tortura senza fine, piange, in silenzio. Anche quando Marco, il legale, ricorda che due tassisti venuti in contatto con Pamela appena scappata dalla comunità, hanno approfittato della diciottenne, che era in minorate condizioni fisiche, e sono indagati per violenza sessuale.

«Sono sconvolta, non voglio dire niente spiega Alessandra uscendo dal Tribunale, con gli occhi rossi di pianto ma è una vergogna che due dei testimoni che dicono che Oseghale non ha ucciso Pamela siano difesi proprio dall'avvocato del nigeriano. Tutto già preparato».

TPa

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