Laurito alla Biennale. Nella sua storia la speranza d'Italia

L'attrice-pittrice esporrà alla Biennale di Venezia. E' il simbolo di un'Italia positiva che crede ancora nei sogni. E testimonia il valore della banda Arbore

Laurito alla Biennale. Nella sua storia la speranza d'Italia

La signora della «mossa», Marisa Laurito, è stata consacrata tra i massimi artisti italiani, ed esporrà alla Biennale di Venezia. Sembra qualcosa di eccentrico e spiritoso. Invece è una favola seria, e ribaltandone il cronoprogramma, come direbbe Renzi, cominciamo dalla morale, che riguarda Marisa Laurito, ma anche noi. Ci spalanca a un'osservazione sull'Italia. Chi sono i personaggi che oggi, in questa Italia smunta e grinzosa, danno speranza? Sono quelli della banda di Renzo Arbore. Sono quelli che interpretarono con creatività geniale e senso di autoironia gli anni '80, senza flagellarsi per la fortuna che arrideva loro. Lo fecero con vitalità impensabile, seppellendo senza rimpianti né rimorsi il terrorismo, allorché conquistammo il mondiale di calcio in Spagna, e superammo nelle graduatorie del Pil la Gran Bretagna. Ora improvvisamente riappaiono come ologrammi nostalgici, ma nella pienezza delle loro doti. E in territori disparati. La Laurito, appunto. E Renzo Arbore, Nino Frassica, Roberto D'Agostino. Arbore - il leader naturale e festoso di questo manipolo di antieroi senza magone - adesso è ritenuto non un monumento di archeologia televisiva, come capitava fino a dieci anni fa, ma l'autentico interprete della passione che sa tirar fuori dal genio italiano il meglio nella musica, nello spettacolo, nello stile di vita. Marisa Laurito è dunque un caso.

Ma non a caso. La sua produzione artistica, esplorabile via internet, non ha niente di naif e di patetico. Ma ha dentro – come volevasi dimostrare - una forza positiva impressionante. Così Marisa Laurito, a 63 anni, rischia di essere la sorpresa più autentica della prossima Biennale di Venezia, che è pur sempre la vetrina massima dell'arte italiana contemporanea. Il suo progetto è stato accettato. Saranno tre alberi d'oro, ma i particolari a tra poco. Qui importa concentrarsi sulla sorpresa che suscita la notizia, consapevoli sia uno scoop solo per la gente a cui le parole vernissage e avanguardia fanno venire l'orticaria. Gli specialisti sono informati delle sue qualità. Gli altri no. Ed è un vuoto che colmiamo con una certa presunzione di portar bene. Laurito vuol dire allegria, ed è un peccato essere digiuni di notizie su questo lato b, anzi c (quello b c'entra di più con «la mossa», e lì la fama è già imperitura) della vita di Marisa. Tra l'altro la parola digiuno è forse la meno adatta a rappresentare questa persona il cui volto dichiara amore al cibo, alla vita, a tutto. Incontrandola si ha una piena corrispondenza tra l'immagine e la realtà. Una coerenza non smilza e sofferta, ma contenta. Meglio un po' di più che un po' di meno; meglio che il vino strabordi dal bicchiere, invece che micragnosamente starsene sul fondo. E se il calice te lo offre un amico, gustarlo come dono anche se è poco. La sua arte è così. Niente di naif o di pateticamente provinciale, da autodidatta che copia o pretende di mettere insieme pochi cenni sull'universo. È arte e basta. Marisa vi è immersa.

Trascrivo il dialogo con lei, perché serve a chiudere bene le feste, senza tirar giù la saracinesca della gioia familiare. Dice di sé: «La mia allegria di napoletana è un modo di vivere che non è frutto di superficialità, ma di gratitudine. Ho conosciuto il dolore. In teatro ho lavorato esordendo con Eduardo De Filippo. Vivo come ringraziamento quotidiano di quello che ho sempre avuto e ho. Non sempre siamo importanti, non in tutte le fasi della vita si è sulla cresta dell'onda, ma importante è ringraziare per quello che si ha. Da qui il senso positivo della vita». Della sua arte. Qualcosa di più sugli inizi di Marisa come pittrice. «Desideravo fare l'attrice, per mantenermi lavoravo in alcuni studi commerciali napoletani dove dipingevo a mano le cartoline. Le mettevano in fila e io a colorare chilometri di mare, mare, mare. Copiavo Van Gogh e vendevo per due lire nature morte».

Dovendo ristrutturare casa a New York ci mise i suoi quadri, e per farli ammirare sostenne che li aveva dipinti una rara pittrice araba. Il presente e la chiave del suoi successo: «Ora uso materiali acrilici, adopero il silicone, un materiale povero che uso per generare bellezza come sono capace. Ho trovato il modo di colorarlo, con pazienza lo adopero per merlettare gli oggetti. Qualcuno ha visto, ho cominciato a esporre. Finché l'anno scorso sono stata invitata a partecipare alla triennale di Roma. Il tema era “L'Ultimo Paradiso”. Ho proposto un quadro intitolato Porte del Paradiso ».

Quel quadro contiene moltissimo della sua idea della vita; ha dovuto rinunciare ai colori, è in bianco e nero, ma c'è una fontana di speranza lì dentro: «Racconto che il Paradiso comincia qui, ci sono testi di personaggi che anche nel dolore hanno trovato modo di vivere pienamente con forza, energia e amore su questa terra. Dietro queste porte ci sarà il Paradiso vero e proprio, ma è il prolungamento di ciò che siamo ora. Mi riconosco nella frase di Luciano De Crescenzo che ho ricamato con il silicone: “Siamo angeli con un'ala soltanto e possiamo volare solo restando abbracciati”». Racconta l'opera che esporrà alla Biennale di Venezia. E qui siamo alla morale di cui all'inizio. Qualcuno dei vecchi amici che le ha detto di queste sue performance? «Ovviamente mi prendono un po' in giro. Ma guardano e sono orgogliosi. Arbore mi ha detto: “Questa adesso è diventata pure pittrice”. E un'altra carissima amica, Nori Corbucci: “Non mi stupirei se ti dessero tra un po' un Nobel per qualcosa”, ovviamente giocava. Non sono specializzata in niente, neanche nell'arte. Forse è un limite di noi italiani. Ma ci interessa tutto.

Io sono pronta a misurarmi con nuove sfide, senza prendermi troppo sul serio».

Credo che questa sia una grande lezione per l'Italia. Di Laurito pittrice e artista. Di Laurito cantante e attrice. Di Marisa Laurito e basta.

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