Renzi, basta. E falla finita. Uno schiaffo al giorno sta togliendo Renzi di torno. E il presidente (si fa per dire) del Consiglio, che di fallimenti se ne intende, dovrebbe essersene accorto: anche questa sua nuova impresa, quella di governare l'Italia, è fallita. È fallita sull'occupazione, sulla crescita, sul Sud, sulle tasse, sull'Europa, sugli investimenti. Quella che si chiude oggi è stata una settimana nera per Renzi. Pioggia di critiche, nell'ordine da: Fmi, Svimez, Bce, Istat. Certificazione urbi et orbi del disastro.
Il fallimento sull'occupazione Cominciamo dal lavoro, che è il dato più eclatante, se è vero, come ha detto l'Fmi, che serviranno 20 anni a tornare ai livelli pre-crisi. Eppure ricordiamo tutti Matteo Renzi a Londra il 1° aprile 2014: «Vedrete nei prossimi mesi come il cambiamento nel mercato del lavoro porterà l'Italia a tornare sotto il 10% nel tasso di disoccupazione». I numeri inchiodano le speranze del premier. I dati pubblicati venerdì dall'Istat segnalano un aumento tanto della disoccupazione come tasso (12,7%) quanto come numero di disoccupati (85mila in più anno su anno). Altro che effetto Jobs Act. Gli incentivi sono serviti solo a trasformare contratti già esistenti. Per non parlare della disoccupazione giovanile, al 44,2% a giugno, massimo storico dal 1977. Non solo: aumenta anche il gap che ci divide dall'Europa, dove la disoccupazione rimane stabile all'11,1% nell'area euro, e scende sotto il 10% nell'Ue (9,6%).
Si potrebbe dire che il tasso di disoccupazione aumenta quando ci sono segnali di ripresa, in quanto più gente si offre sul mercato. È questo che ha spinto Renzi a dirsi soddisfatto anche venerdì. Peccato, però, che in tali casi, per poter fare delle valutazioni diventa indicativo il tasso di occupazione. E questo non depone a favore del premier. L'Istat ci ha detto, infatti, che il tasso di occupazione in Italia è al palo. Bloccato. Vuol dire che non si creano posti di lavoro.
La teoria economica, d'altronde, lo spiega bene: con un tasso di crescita dell'economia sotto il 2%, non si creano posti di lavoro, ma si distruggono, in quanto la maggior domanda è soddisfatta dall'aumento della produttività dei lavoratori già in forze. Senza bisogno di nuove assunzioni. È, invece, quando il tasso di crescita dell'economia supera il 2% che si creano nuovi posti di lavoro, in quanto l'aumento della produttività e la tecnologia non sono più sufficienti a produrre quanto il mercato chiede. Nella fase in cui si trova l'Italia oggi, dopo 7 anni di crescita zero o sotto zero, continua la distruzione di posti di lavoro, e non sono poco meno di 2 miliardi di sgravi alle imprese a crearne di nuovi. Al massimo se ne modifica la composizione, generando, tra l'altro, pericolosi buchi contributivi nelle casse dello Stato.
Il fallimento sulla crescita
Quanto allo sviluppo, a demolire Renzi ci ha pensato la Bce. Gli italiani sono ultimi nell'Eurozona quanto a crescita del reddito pro capite. Draghi gufo? Il rapporto della Bce sulla Convergenza reale nell'area dell'euro è impietoso. L'Italia registra i risultati peggiori in termini di Pil pro capite di tutti i Paesi che hanno aderito all'euro fin dall'inizio. Con «una crescita inferiore alla media quasi per l'intero periodo» dal 1999 al 2013. Mentre per altri, sebbene più deboli come Grecia o Portogallo, la crescita lenta si è verificata solo all'indomani del crack della Lehman Brothers e non ininterrottamente dal 1999.
Il fallimento sul Sud
Se l'Italia è in crisi, il Sud è addirittura cianotico. A un passo dalla morte cerebrale. Arriviamo, così, al rapporto Svimez. Se l'Italia non cresce è evidente che la crisi non può che colpire in modo differenziato. Concede ancora un piccolo respiro nelle aree del Nord, ma assume aspetti drammatici per le aree più deboli del Paese. Due grandi fratture si inseguono: quella dell'Italia nel suo complesso rispetto al resto dell'Europa. E quella all'interno del territorio nazionale. Con il Sud messo quasi peggio della Grecia. Qui o si cambia o si va in malora. Serve un programma che il Pd, con la sinistra che si ritrova, non è in grado né di pensare né tantomeno di realizzare. È su Renzi e Padoan che bisogna intervenire perché tornino con i piedi per terra. Per avviare una riflessione di cui non possono sfuggire le implicazioni politiche. Senza uno sforzo collettivo, l'Italia non può ripartire. E se non riparte l'Italia, le condizioni del Mezzogiorno sono destinate a peggiorare ulteriormente. Allora non sarà la Grecia, ma la Colombia. Con il rischio che le organizzazioni criminali e il traffico di droga la facciano da padrone. La lotta alla mafia, come ricorda ogni giorno il presidente della Repubblica, è una grande priorità. Ma per battere quei grumi di criminalità organizzata occorre un'azione che svuoti lo stagno in cui nuotano i pesci del malaffare. Quello sviluppo da anni invocato da tanti grandi meridionalisti, che è l'antidoto più efficace per una battaglia di civiltà.
Il fallimento sulle tasse
L'ultimo annuncio di Renzi, di un taglio delle tasse per 40-50 miliardi in 3-5 anni, è un volgarissimo bluff già scoperto, anche un po' ingenuo. La gente capirà, o forse ha già capito, che non è possibile. Anche perché, nel primo anno e mezzo a Palazzo Chigi, Renzi le tasse le ha aumentate, pure sulla prima casa, e dovrà aumentarle ancora nei prossimi 3 anni per le clausole di salvaguardia contenute nell'ultima legge di Stabilità, che scatteranno automaticamente dal 2016 e comporteranno un aumento dell'Iva fino al 25,5% nel 2018. A meno che il retropensiero del premier non sia quello di cominciare un braccio di ferro con l'Europa per rinviare ancora di qualche anno il pareggio di bilancio, già spostato in avanti con giochi di prestigio dal ministro Padoan al 2018, e sforare il limite del 3% del rapporto deficit/Pil come fa la Francia.
Facile a dirsi, difficile a farsi. Perché l'Italia non è la Francia, non ha la credibilità politica della Francia, ma, soprattutto l'Italia ha un debito pubblico fuori controllo, in continua crescita, e che, se aumenta il deficit e si riduce l'avanzo primario, diventa ancora più insostenibile.
Il fallimento sull'Europa e sugli investimenti
E ancora, come pensa, Renzi, di strappare all'Europa qualche decimale di flessibilità? Primo: abbiamo già avuto dalla Commissione tutte le aperture di credito possibili e immaginabili, tanto da spingere il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, a proporre di rivedere il ruolo della Commissione, che sta assumendo, a suo dire, un ruolo sempre più politico. Due: con il debito pubblico che ci troviamo, secondo nell'Eurozona solo alla Grecia, nessuna «clausola degli investimenti», vale a dire la possibilità di scomputare questi ultimi dal calcolo dei parametri di Maastricht, sarà concessa al nostro Paese. Terzo: l'Italia non esiste in Europa. Sempre assente ai tavoli che contano, è chiamata solo quando c'è da drenare risorse, mai quando si decide. O è questo il prezzo da pagare, vale a dire un ruolo marginale e sempre più gravi cessioni di sovranità, in cambio di qualche commissario che chiude gli occhi sui nostri conti pubblici?
Annibale è alle porte, caro presidente Renzi. Ha il volto dei principali organismi internazionali. Che non sono semplici osservatori, ma hanno a loro disposizione gli strumenti giuridici, economici e finanziari per farsi sentire. Con le buone o con le cattive. Come è capitato alla Grecia. Averne consapevolezza è il primo passo verso la salvezza.
Noi ci siamo. Non ci interessa stare a vedere come si schianterà Renzi.
Siamo parte viva di questo nostro popolo italiano, e in particolare del ceto medio, che non può più sopportare questa situazione di malgoverno e di impotenza. E tu Renzi, che fai? Te ne vai subito o aspetti di essere cacciato?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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