"L'effetto peggiore? Il timore di essere un giorno un peso per i figli"

La voce del gioielliere, designer e docente Andrea Lazzerini

"L'effetto peggiore? Il timore di essere un giorno un peso per i figli"
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Andrea Lazzerini ha 64 anni, è gioielliere, designer e docente della Scuola Orafa Ambrosiana, fino a qualche anno fa aveva un laboratorio in via Gesù a Milano, poi in piazza San Marco. Da qualche tempo si è trasferito a Carugate.

C'è stato un momento della sua vita in cui ha sentito che qualcosa è cambiato e ha dovuto risistemare le sue priorità?

«Il momento esatto non lo ricordo, penso più a una continua discesa verso il basso. Forse la colloco con la crisi del 2007: è lì che il timone ha girato più bruscamente verso la tempesta. Poi si è iniziato a navigare a vista tra buio e schiarite, ma nulla è tornato come prima».

Ha ritarato il suo stile di vita?

«Mi sono dovuto ridimensionare. Il ceto medio, del quale faccio parte, è scomparso ed era la mia forza. Capitava la vendita straordinaria ma se io ho potuto fare progetti, negli anni, è stato grazie al ceto medio. Ai clienti costanti che venivano per il compleanno della moglie o per l'anniversario... Era grazie a loro se, per esempio, ogni Natale riuscivo a fare un evento al Four Season presentando le mie creazioni».

Andrea Lazzerini
Andrea Lazzerini

Oggi cosa le pesa di più?

«Di non essere libero e sereno come immaginavo di essere alla mia età, invece devo correre più di prima. E il fatto che ormai la gente non ha gusto e compra solo orientandosi con la pubblicità. Ai tempi di mio padre i gioielli più belli si realizzavano per la Prima della Scala e quando arrivava il cliente chiedeva la lente per osservare, perché sapeva cosa stava guardando».

Caratteristica del ceto medio è aver avuto dei genitori che hanno garantito un benessere a figli e nipoti. Molti oggi non sono in grado di fare altrettanto.

«Mi do molte colpe per questo, anche se so di fare bene il mio lavoro e di essere onesto. Negli anni i miei figli hanno avuto tutto ciò di cui hanno avuto bisogno e oggi sono grandi e hanno la loro vita. Ma adesso, per loro, non potrei fare più di ciò che faccio. Pago un mutuo sulla mia casa per lasciargli almeno quella, un giorno. Ma non sono in grado di fare altro e per me è un dolore. Siamo la generazione più povera rispetto ai nostri padri, come nel Dopoguerra».

Cosa la spaventa per i suoi

figli?

«Non vorrei mai essere io, un giorno, a dovermi appoggiare a loro. Mi aiuterebbero di certo perché mi vogliono bene e se c'è una cosa che mi è venuta bene nella vita sono loro due. Ma non vorrei mai diventare un peso».

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