Lega vincente se in Europa cambia casa

Lega vincente se in Europa cambia casa

Dei nove partiti di estrema destra che aderiscono al gruppo europeo «Identità e democrazia» non ce n'è uno al governo. Sono tutti all'opposizione, sia nei paesi d'origine sia in Europa. Condizione che assicura dei vantaggi, ma che presenta dei costi. I vantaggi sono evidenti. Si mantiene integra la propria identità, non ci si confonde con l'establishment, si può promettere di tutto senza essere responsabili di niente. Una pacchia. Come banchettare in un ristorante di lusso certi di non pagare il conto. Ma il conto, prima o poi, arriva. Arriva quando ci si ritrova al governo e si scopre di essere soli. Contro tutti. Condizione che, in un mondo globalizzato in cui la crescita economica delle nazioni dipende in larga misura dalla fiducia che chi le governa ispira ai mercati finanziari, ai partner internazionali e alle istituzioni sovranazionali, condanna all'impotenza politica. Inaccettabile per un elettorato alimentato a rancore e utopia durante gli spensierati anni dell'opposizione.

La domanda, dunque, è: Matteo Salvini tutto questo lo ha capito? Di sicuro nei giorni scorsi ha lanciato dei segnali. Ha detto che Mario Draghi sarebbe un buon presidente della Repubblica. Ha detto che l'euro è «irreversibile». L'ha detto a un giornale autorevole, ma d'élite (il Foglio). E quattro giorni dopo alle masse di piazza San Giovanni il responsabile economico della Lega, Alberto Bagnai, ha sostenuto il contrario. Più che una strategia, quella di Salvini sembra una tattica. Diverso appare il caso di Giancarlo Giorgetti. Politico pragmatico e realista, da sottosegretario alla presidenza del Consiglio l'uomo forte della Lega ha verificato quanto difficile sia governare senza la fiducia dell'establishment nazionale, europeo e globale. Perciò ha lasciato intendere che la Lega potrebbe abbandonare il gruppo di Identità e democrazia per aderire al Ppe, dove si è da tempo accasato il saggio Orban. Salvini, però, l'ha smentito.

Se vorrà non solo vincere le prossime elezioni, ma anche governare dovrà ricredersi: dovrà lanciare segnali di ragionevolezza politica alla volta della neopresidente della Commissione Ursula von der Leyen, per esempio astenendosi tra due settimane sul voto di fiducia, e dovrà trovare una casa europea più centrale di quella, periferica e malfamata, dove attualmente risiede. Non sarà, forse, nell'interesse elettorale della Lega, sarà senz'altro nell'interesse nazionale dell'Italia. Si tratta di un passaggio obbligato. Una conditio sine qua non, per dirla in latino.

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