Nell'era della concertazione, del franco confronto di idee e della Rete che stimola il dibattito diffuso a oltranza, decidere è diventato un tabù. Bisogna sondare e bilanciare, sentire tutte le campane, ma è come se tutto finisse lì. Agire e dare ordini è secondario e anche un po' volgare. L'autorità è vista con sospetto, dietro ogni comando si intravvede un randello nascosto dietro la schiena. Fino a quando qualcuno muore perché nessuno ha spostato uno spazzaneve o alzato il telefono per far sgombrare una strada. Soltanto allora ci si accorge che decidere è l'essenza dello Stato. E che in emergenza la responsabilità è una e monocratica, perché in emergenza la democrazia non può esistere.
Dittatura di per sé non è una parola brutta. Certo, nella sua accezione attuale è diventata un mostro innominabile, ma per la maggior parte della nostra storia è stata considerata positiva e perfino salvifica. Bisogna solo intendersi bene. Dictator era il magistrato straordinario nominato dai consoli nell'antica Roma in casi eccezionali come una guerra o una rivolta (certo, non per una nevicata, ma la storia è relativa...). I suoi poteri amplissimi - in patria come all'estero, imperium domi militiaeque - erano legittimati dall'emergenza ed erano limitati temporalmente all'emergenza. Il dittatore risolveva problemi, come il Mr. Wolf di Pulp fiction. Perché in duemilacinquecento anni, l'essenza della realpolitik non è cambiata: se il tempo non c'è, serve uno che decida alla svelta.
Per questo non ha senso una Protezione civile con due teste e funzioni separate nelle mani di Errani e Curcio, in ossequio al balance of power. Le catastrofi non sono un libro di Montesquieu, né un gruppo aperto su Facebook. Nell'emergenza occorre più un Principe machiavellico che sappia essere volpe e leone che un utopico Comitato di salute pubblica. Senza alcun rischio di totalitarismo o autoritarismo, perché il suo ruolo è quello di semplice commissario, quello che per Rousseau poteva zittire le leggi, ma non farle parlare. La Grecia classica fu la culla della democrazia, ma anche degli esimneti come Pisistrato, i tiranni elettivi. Gente che non indiceva giri di consultazioni all'Acropoli per capire come opporsi a Serse e ai suoi Persiani.
Fuor di metafora e archiviando la storia, nell'emergenza si deve ragionare verticalmente. Altrimenti ci si perde in rivoli di competenze e commi, nella burocrazia brezneviana per cui il tipo di diserbante da usare in Kazakistan doveva essere discusso al Politburo. Il tempo e la competenza devono essere i giudici e i limiti unici.
Chi sbaglia, viene sostituito; chi approfitta del suo potere emergenziale, viene giudicato e punito. Ma serve il coraggio di decidere, perché - come diceva Henry de Montherlant - «i despoti nascono nelle case dove non si osa dare un ordine alla serva». Decidete, gente, decidete.
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