Moglie e figlia non rispettano l'islam: un ex pugile tunisino le manda ko

Dopo l'ennesima violenza la donna trova il coraggio di denunciare il marito aguzzino

Moglie e figlia non rispettano l'islam: un ex pugile tunisino le manda ko

Milano - Da un ex pugile con precedenti penali, che di professione fa il barista in un locale della vissutissima corso Como, ci si aspetta una mentalità aperta, una visione della femminilità più morbida e comunque aliena dalla lente del rigore spesso eccessivo del giudizio o del pregiudizio religioso. Invece la polizia si è trovata davanti a un tunisino maomettano integralista. Che stava «ammazzando di botte» (parole documentate da un sms disperato), la consorte italiana. Rea, a suo dire, di aver difeso la figlia di 5 anni sempre da lui, padre manesco, particolarmente adirato perché la piccola non aveva risposto educatamente al telefono allo zio. Dimostrandosi così «non rispettosa dell'Islam e non sottomessa e rispettosa» come si richiede a una brava musulmana.

Fare il processo a certi legami sentimentali tra culture differenti dai quali sono nati anche tre figli è molto facile e lascia il tempo che trova, se non si fa parte della famiglia e non si condivide il ménage quotidiano. Tuttavia la cronaca, i fatti, soprattutto quelli con doloroso epilogo al pronto soccorso, impongono almeno un rigoroso resoconto di una realtà che sempre più spesso si scopre celata a lungo tra mura domestiche troppo impermeabili. Dove donne e bambini, nel nome della religione, subiscono umiliazioni, ingiurie e imposizioni che i punti di sutura non potranno che accomodare per qualche tempo, rimandando solo al prossimo, imminente inferno.

Via Strambio è una bella strada di Lambrate, nelle vicinanze di piazzale Gorini. Lì, in un appartamento, abitano una donna di 33 anni che ha sposato l'ex pugile tunisino, ora barista, Saidi Ben H., sei anni più grande di lei. La coppia ha tre figli, due maschietti di uno e due anni e la maggiore di 5. La donna, poco prima delle 13 del giorno di Santo Stefano, si decide a fare quello che desiderava da tempo e non osava: denunciare il marito.

In realtà ad avvertire la polizia è la sorella della donna dopo aver ricevuto un sms nel quale la poveretta le chiede aiuto perché, scrive, «lui ci sta ammazzando di botte». Il contesto di terrore e violenza in cui vivono la 33enne e i suoi bambini è già noto alla famiglia d'origine della donna, anche se nessuno osa intervenire e se ci ha provato è stato subito «scoraggiato» dal padre-marito padrone. Anche i vicini si coprono le orecchie per non sentire le urla che spesso arrivano dall'appartamento, nella convinzione che la regola d'oro della vita sia farsi ostinatamente i fatti propri.

Venerdì la moglie del barista tunisino, approfittando di un momento in cui il marito si ritira in bagno, spedisce quel messaggio. E, in men che non si dica, l'abitazione si riempie di poliziotti. Gli agenti notano subito i segni sul corpo della donna e della bambina, seduta insieme ai due fratellini su un divano dove tutti e tre piangono disperati. Il loro papà, infatti, ha appena picchiato la mamma, come lei stessa spiega, dopo che la bimba non aveva risposto educatamente allo zio al telefono. «Ho cercato di difendere mia figlia dalle botte del padre e lui allora mi ha aggredita con uno schiaffo - spiega la donna - strappandomi dalle braccia anche mio figlio di un anno e gettandolo a terra. Quando poi mia figlia ha tentato di difendermi le ha rifilato un calcio». Anche sugli altri bambini, infatti, vengono trovati segni di percosse, lesioni.

Così per l'ex pugile - che forse usa la religione per giustificare la sua spiccata tendenza a menar le mani anche fuori

dal ring e contro chi dovrebbe amare e proteggere - sono scattate le manette con l'accusa di maltrattamenti in famiglia. Ora toccherà all'uomo dimostrarsi «sottomesso e rispettoso». Non dell'Islam, ma della legge italiana.

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