di Eleonora Barbieri
Si chiama «buono», ma è perfido. È il sovvertimento dello spirito del Natale, e ciò che tenta di cancellare la festa più bella dell'anno non può essere guardato che con sospetto. Eccolo, il «buono»: per la libreria, il negozio di elettronica, la boutique di intimo, l'alimentari chic, la catena di giocattoli... Per prenderti «quello che vuoi», certo. E allora tanto vale ricevere i soldi, che almeno si vedono: cartamoneta da contare (nel migliore dei casi). Ma il buono è una abdicazione, che comincia già nelle intenzioni: magari sbaglio, quindi meglio non scegliere. Perché sforzarsi, perché rischiare? È vero, una ricerca dice che 4 doni su dieci sono sgraditi: e allora? È come se, a scuola, un alunno prendesse sei brutti voti su dieci: non è che aboliamo la pagella (qualcuno ci ha pensato, ovviamente). Del resto, certi regali appaiono così mal scelti da essere quasi come il «buono», cioè pessimi. E la maggior parte, in questi casi, se ne libera, oppure ricicla a (s)vantaggio della delusione di qualcun altro. Che poi i gusti, vai a sapere. Tu hai regalato decine di berretti (inutili), maglie del Milan con il nome del giocatore sbagliato, una Recherce (completa) di Proust a chi odia Proust... Hai ricevuto anche abiti di tre taglie più grandi, pigiami in quantità, gadget senza senso, oggetti tarocchi dall'identità indefinibile, saponette, collanine che neanche una bambina di tre anni indosserebbe. E quindi? Vorresti mai il «buono»? No.
Però alcuni sì: il 13 per cento desidera proprio il non desiderio, chiede che non si pensi a lui (o lei), che si rinunci alla sorpresa, allo spremere le meningi per immaginare, intuire (sbagliando, anche), perfino sognare di fare quel regalo. Quello buono, non il «buono».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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