L'Italicum torna a correre e la sinistra Pd va all'angolo

Pressing di Bersani su Speranza perché bocci la riforma elettorale. Ma Renzi minaccia la fiducia e esulta per i 79mila nuovi contratti a tempo indeterminato

L'Italicum torna a correre e la sinistra Pd va all'angolo

Roma - La minoranza Pd si ritrova in «un angolo sempre più stretto», ammette Stefano Fassina, fiero anti renziano della prima ora. Un angolo dal quale gli oppositori del premier non sanno più come uscire, ora che il blitz di Matteo Renzi sull'Italicum ha precipitosamente avvicinato una resa dei conti che contavano di rimandare a tempi migliori.

Invece, niente: stavolta il leader del Pd non farà prigionieri e si spinge a minacciare la fiducia sulla legge elettorale. Nel giorno in cui, per colmo di sventura dei suoi avversari, piovono anche i dati «sorprendenti» sull'occupazione - «nei primi due mesi del 2015 sono stati attivati 79mila contratti a tempo indeterminato in più rispetto al 2014», dice il ministro Poletti - e con Renzi che può a buon diritto festeggiare, arriva anche la stretta finale sulla legge elettorale: sarà calendarizzata a Montecitorio per il 27 aprile in aula, per poi essere votata (con tempi contingentati) nella prima settimana di maggio. E a chi strilla che la sua è una fretta sospetta, il premier ricorda soave che dell'Italicum si discute da ben due anni, e che «a questo punto basta, si deve decidere». Lunedì, in Direzione Pd, si andrà alla conta e la minoranza - inesorabilmente - si dividerà. «Io non mi muovo, non cambio idea sull'Italicum - dice Pier Luigi Bersani all' Huffington Post -. Se non cambia non lo voto, a prescindere dalla direzione di lunedì». Dunque l'ex segretario si accinge a votare contro il governo Pd? In realtà Bersani e i suoi stanno attenti a non usare parole troppo definitive: «non lo voto» è diverso da «voto contro». I toni sono alti, certo: «Qui stiamo parlando di democrazia, mica di noccioline», dice Bersani. «Così il Pd va verso la rottura», tuona D'Attorre. Ma il pressing è rivolto - più che al premier, che dalle minacce di “non voto” di Bersani, Bindi e compagni non sembra per nulla emozionato - quanto a Roberto Speranza, il capogruppo che, formalmente, alla minoranza bersaniana di Area Riformista appartiene. Se fosse il presidente dei 308 deputati Pd a schierarsi sulla linea bersaniana («O Renzi cambia l'Italicum come piace a noi o non lo votiamo»), lo strappo diventerebbe una lacerazione imbarazzante per il premier, e le file del dissenso si allargherebbero. Ma in casa renziana ci sono pochi dubbi: non succederà. Speranza assicura che farà del suo meglio per mediare: «Sono qui per trovare una sintesi e ce la metterò tutta», dice, ammettendo però che «siamo in alto mare». E siccome Renzi non si smuove, e il vicesegretario Guerini spiega che non ci sarà alcun «conclave sulle riforme», come chiede la minoranza, e che il testo «è già stato modificato al Senato» e ora va votato e basta, al capogruppo Speranza non resterà che far applicare la linea della stragrande maggioranza del Pd, che sarà votata in Direzione e riconfermata poi nei gruppi. Tirandosi dietro il grosso dei parlamentari bersaniani: «Alla fine, a non votare l'Italicum, resteremo in una ventina», ammettono nella stessa minoranza.

Troppo pochi per far correre rischi a Renzi, nonostante la guerra santa annunciata dal capogruppo di Fi Renato Brunetta contro «il blitz di Renzi». Anzi, assicurano nel Pd, «se ci sarà lo scrutinio segreto, da Fi arriveranno molti più voti di quanti ne usciranno dalle nostre file».

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