Loghi, stampe, simboli Le tribù colte della moda

Versace ripropone i suoi disegni «storici» Diesel sperimenta patchwork esotici

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Segni e disegni hanno sempre indicato l'appartenenza a questa o quella tribù, sono l'impronta di un DNA culturale. La moda ha talmente interiorizzato il concetto da trasformare loghi o firme in vere e proprie rivendicazioni identitarie. A Versace potrebbe anche bastare la greca, l'immagine più o meno stilizzata della Medusa, una voluta barocca e qualunque riferimento grafico alla Magna Grecia per ricordare al mondo intero che nessuno è riuscito a creare un simile impero dei segni attraverso i vestiti. La bionda signora del Made in Italy si è come liberata dalla necessità di trovare un'alternativa alla strada maestra tracciata da suo fratello Gianni e ha finalmente ritrovato la via di casa. Ecco quindi alcune storiche stampe della maison come Giaguaro del 1996, Sipario dei primi anni Novanta, Amore e Psiche a metà strada tra i due che fanno capolino sui modelli della collezione Uomo per il prossimo inverno in passerella ieri sera a Milano. In più c'è l'idea della casa magistralmente rappresentata negli accessori (un borsone trapuntato come il divano Chesterfield oppure i bracciali a forma di coltelli e forchette) ma anche nei capi per cui l'accappatoio diventa cappotto, il cuscino si trasforma in duvet. Su tutto questo s'inserisce il cosiddetto layering che non è solo vestire a strati, ma richiede una stratificazione di generi e cose segni e disegni.

Insomma il risultato è una nuova tribù di moda che in molti casi gigioneggia sui social media e prima o poi anche questa bolla scoppierà. Ma nei casi più sani, quelli che guardano all'abito come habitat dell'uomo e delle sue emozioni, certi pezzi tipo la giacca a vento di velluto stampato bastano a scrivere un altro capitolo nella storia leggendaria della Medusa. Semplicemente meravigliosa la sfilata di Diesel Black Gold dedicata a un epico percorso di scoperta. Il designer Andreas Melbostad prende dettagli d'ogni tipo dalle diverse etnie provocando un vero e proprio cultur clash con le forme delle tibù urbane degli anni Novanta. Un patchwork di diversi tipi di montone nero diventa un sublime cappottone della Mongolia, i disegni Serape dei Native American s'incrociano con il bomber da biker mentre i ricami di camicie e vestiti delle contadine rumene compaiono sui nuovi seducenti abiti delle ragazze. Da Marni Francesco Risso fa una moda che gli somiglia: poetica, sciroccata, fuori dagli schemi e davvero divertente. «Divertirsi significa cambiare direzione» dice nel backstage dove parla di viaggi attraverso mondi diversi, di Everest, d'intuizioni e, non si sa bene perché, dello zabaglione. Tradotto in abito significa anche una coperta al posto del paltò, dei completi a quadrettoni che farebbero impazzire Scaramacai e delle collane piene di charms create dallo stesso artista con cui ha messo a punto un immaginifico set dello show. Su questo punto nessuno può competere con Kean Etro che per le prime celebrazioni dei 50 anni del marchio di famiglia ha ideato un raffinatissimo brocantage in collaborazione con la casa d'aste Il Ponte.

Il messaggio arriva forte e chiaro: il bello non dura solo una stagione, si può anche riciclare. I decori del marmo di Carrara sulle giacche, certi ricami e quei disegni Paisley così ricchi e preziosi indicano che Etro è una alto tasso di cultura.

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