Alla lotteria dei ballottaggi il Pd rischia l'isolamento

Democratici costretti a cercare alleanze a destra mentre l'ala sinistra si smarca. E il voto di protesta può premiare i candidati anti-governo

Alla lotteria dei ballottaggi il Pd rischia l'isolamento

E ora viene il bello, anzi il ballo. Il valzer delle alleanze. L'etimologia di una parola è sempre illuminante, e non sarà un caso dunque che «ballottaggio» derivi dalle ballotte (sfere) d'argento in uso nella Serenissima nel complicato meccanismo di scelta del Doge (sistema da cui è derivato quello degli Usa). Ma anche, secondo una suggestiva tesi, ballotta nel senso di «castagna»; sistema più rustico utilizzato nella Firenze medievale dai Priori delle Arti quando si riunivano nella Torre della Castagna per le decisioni importanti.

Eccoci così ripiombati al nocciolo di questo secondo turno di ballottaggio delle Amministrative, nel quale cruciale sarà l'opera del Fiorentino per risollevare le sorti di un Pd a corto di elettori (addio a un altro mezzo milione), grigio nei toni e nei modi, spazzato via a Roma dal Grillo, a Napoli da Masaniello redivivo e, a Milano e Torino, tallonato da presso dagli avversari. Matteo Renzi non pare uno che ci stia a perdere, ed è chiaro che già chiama il Cav al tenero e fasullo abbraccino che ricorda tanto quello del pugile suonato. «La destra c'è ed è Forza Italia, c'è Berlusconi, è lì e chi lo nega nega la realtà», dice dunque il segretario pidino all'angolo, ma con tanta voglia di rivincita al secondo round. Per il quale, spiega il ministro Poletti, «l'importante sarà avere le idee chiare». Quelle più in voga al Nazareno sono che «si riparte da zero a zero» (Serracchiani), «ai ballottaggi è sempre una partita aperta» (Fassino), «non dire gatto se non ce l'hai nel sacco...» (il successore di Renzi a Firenze, Nardella).

Eppure i concetti cardine sembrano chiari anche agli avversari: in particolare ai grillini di Roma e Torino, nonché al milanese Parisi. Perché se il Pd vuole ricompattarsi tutto, persino la sinistra interna finora definita dai renziani degli «sfigati» (miracoli di un dna che si chiamava centralismo democratico), per lavorare «pancia a terra» e portare a casa il ballottaggio, anche Beppe Grillo predica prudenza: «piedi a terra, testa e cuore ai ballottaggi...». E Parisi, forte di una campagna senza «colpi sotto la cintura», sa di poter dialogare sia con chi ha votato M5S, sia con la sinistra, oltre steccati «che ormai non esistono più». La verità è che in questo secondo tempo il sistema della alleanze vede centrodestra e grillini assai più liberi e capaci di muoversi in ogni settore. Potrà sembrare paradossale, ma a essere sfavorito è invece il partito pigliatutto, cioè il Pd, proprio in virtù del fatto di essere al governo, di aver deluso, di non avere agibilità di reconquista dei settori finora snobbati o irrisi. Potrà porsi il compito di riportare al voto il popolo degli astenuti, certo, ma non quello di giocare su fronti opposti. Cercare un'intesa con la destra, per esempio, implicherà per Sala, Giachetti e Fassino di rimanere scoperti a sinistra; e da quel che si capisce né Rizzo a Milano, né Fassina a Roma, né Airaudo a Torino muoiono dalla voglia di fare le mosche cocchiere proprio a chi li ha trascinati verso la morte politica. Questo a prescindere dal fatto che ci siano elettori di sinistra disponibili ancora a un «voto utile» per i candidati del Pd (e sempre a patto che non vi siano tentativi di alleanza con il centrodestra). Per il partitone che da anni persegue la vocazione maggioritaria, vale a dire il «bastare a se stesso», insomma, si profila il destino dell'asino di Buridano, la morte per inedia.

Viceversa: il voto di protesta contro il governo Renzi, tanto per

l'elettore grillino quanto per quello della Meloni o leghista o di Forza Italia, troverà in ogni città comunque modo di incanalarsi. Se il Pd ha pensato di fare piazza pulita, ora è la piazza compatta che gli si rivolta contro.

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