Reggio Calabria «La soluzione? Realizzare infrastrutture in Africa, solo così si ferma l'immigrazione incontrollata e si evitano situazioni di questo tipo»: il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, noto perché poco dopo l'insediamento del premier Matteo Renzi al governo fu proposto come ministro della Giustizia, incarico che però rifiutò, non ha alcun dubbio su come affrontare l'emergenza immigrazione nel nostro Paese.
Procuratore, la situazione del campo di Rosarno è da incubo. Non pensa che in un Paese civile come l'Italia non si dovrebbe arrivare a situazioni limite come questa?
«Sono situazioni che durano da decenni e che ogni amministratore si tramanda e passa all'altro. Ovvio che o si ha l'idea, se si va in un posto, di creare un discorso di tolleranza zero o si lascia così. Ma se si pensa di abolirlo si ha poi hai l'alternativa? Io penso che sia un discorso molto più ampio: va risolto il problema immigrazione. Bisogna andare in Africa e, con un sesto del costo di questo pessimo servizio taxi che si fa nel Mediterraneo, si devono avere il coraggio e la volontà per costruire strade, pozzi, serre, scuole, con un sesto della spesa di quanto ci costa una nave al giorno. Lì si deve dare aiuto concreto. Si dà la canna da pesca a queste persone, non il pesce. Ossia si costruiscono infrastrutture, aziende, attività produttive, si portano lì dei trattori e si insegna come si fa agricoltura nel 2016, perché questa gente non ha l'interesse di venire in Europa. Perché il posto più bello è sempre il posto dove si è nati».
Queste situazioni, peraltro, aggiungono lavoro alle forze dell'ordine. Ma sappiamo anche che mancano uomini, in Italia. Come si può risolvere?
«Nel nostro Paese abbiamo una carenza di organico, è davanti agli occhi di tutti. Il problema è che una volta si facevano concorsi per 4mila carabinieri, oggi se ne fanno per 4-500 l'anno ed è ovvio che così non si riesce a coprire neanche quelli che vanno in pensione. Ad esempio, Catanzaro è un posto dove la gente non viene volentieri, per cui la carenza di organico, qui, si sente di più, ma c'è una concentrazione di personale di qualità. Abbiamo il comandante generale dell'Arma dei carabinieri che ha mandato qui il primo del corso come colonnello. Con la polizia è più difficile, ma hanno promesso di potenziare la squadra mobile, anche se i numeri restano in rosso».
Non è che questa carenza di organico influisce anche sulla lotta alla 'Ndrangheta che in questo territorio è ben presente?
«I numeri vanno a inficiare in parte la lotta alla 'Ndrangheta perché non è un fatto di numeri, ma di qualità. Mi spiego meglio: io sono contrario alle truppe e ai rastrellamenti. Ho assistito a tutta la stagione dei sequestri di persona dove c'erano mille poliziotti, carabinieri e mille uomini dell'esercito in 15 chilometri quadrati, ma in 20 sequestri non so se si è effettivamente liberato uno.
Questa non è la caccia alla volpe all'inglese, ma si tratta di mandare gente senza l'ansia da prestazione, senza fretta e allenarli all'investigazione, ad abituarli ad ascoltare le intercettazioni e a decripitare il non detto. Quindi l'investigazione è un'altra cosa, il numero è relativo. Per risparmiare io, ad esempio, abolirei la Dia perché oggi così come è strutturata è un doppione dell'istituto di prevenzione».
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