Folco Quilici è l'uomo dei mari. Si è immerso, ancora ragazzino, nelle acque di Levanto; poi è finito in Mar Rosso a girare il documentario che ha cambiato la sua vita, Sesto continente. Un anno fa, a casa sua a Roma, questo esploratore novecentesco, prestato al cinema e alla fotografia, ti aveva spiegato che di inesplorato, ormai, esiste «poco o nulla». Però... «Corriamo verso Marte, ostinatamente; e non ci occupiamo delle profondità del mare, che sono da sempre inesplorate, sconosciute, e delle quali si parla pochissimo». Tranne che in questi giorni, di fronte alla tragedia del sottomarino Ara San Juan, scomparso al largo dell'Argentina.
Folco Quilici, le autorità hanno rinunciato alle ricerche dei dispersi.
«Parliamo dell'Oceano Atlantico. Un luogo difficile, non solo per le migliaia di chilometri quadrati, ma per la profondità: è tutto un saliscendi. Chi può sapere dove si sia incastrato il sottomarino, e se mai lo troveranno...».
È possibile che non lo trovino?
«Credo che sia possibile che a un certo punto smetteranno di cercarlo, temo. Quando ormai sarà tutto inutile».
Il fondo del mare è così misterioso?
«È un mistero perché non esistono mappe esatte dei fondali. Cominciamo ora ad averne, ma ci vorrà del tempo perché siano complete. Un altro problema è che l'abisso è composto da diverse altezze. E cercare qualcosa a altezze diverse è complicato. Anche per questo, le ricerche sono così difficili».
Qual è il fascino dell'oceano?
«Più che di fascino, parlerei di una corsa a chi lo conosce meglio, sia per le ricchezze eventuali che si possono scoprire, sia, soprattutto, per ragioni tattiche. È la gara a chi sorveglia meglio il suo vicino».
Il mare rimane un mondo da esplorare?
«Non del tutto. Ci sono alcuni abissi molto difficili da raggiungere, ma esistono anche alcune mappe particolareggiate, nelle mani degli Stati maggiori».
Però l'abisso resta un mito...
«Beh sì. C'è il mito, e c'è la paura dell'ignoto, perché lì sotto è dove nessuno è mai andato, una zona buia, ancora misteriosa. E che quindi suscita grandi dubbi».
Può riservare delle sorprese?
«Sappiamo quasi tutto. Forse qualche sorpresa potrebbe venire dall'incontro con qualche creatura, qualche pesce più grande del previsto».
Visto le conoscenze che abbiamo, non le sembra incredibile che non si riesca a ritrovare il sottomarino?
«Non è incredibile. Le miglia su cui si svolge la ricerca sono tante... E poi è l'Atlantico: tutti i fondali oceanici sono complicati».
Sotto la superficie, che cosa resta da scoprire?
«Il fondo del mare è stato scandagliato con sistemi tecnici, ma rimane ancora molta ricerca da fare. Per esempio, riuscire vedere con i nostri stessi occhi dove c'è il buio assoluto. È il problema dei grandi sistemi di illuminazione sott'acqua».
In queste scoperte siamo a buon punto?
«Il fatto è che, oltre al problema del buio, queste ricerche sono molto costose. Ma tutto quello che stiamo facendo è nulla, rispetto alla profondità e alla vastità degli oceani».
Lei sentì subito questa vastità, fin dalle prime immersioni dopo la guerra?
«Naturalmente, le prime volte che ci siamo immersi erano profondità importanti dal punto di vista fisico, umano, ma minuscole rispetto alla grandiosità degli oceani. Ho visto il mare e l'abisso soprattutto dal punto di vista del fotografo e del cineasta: come sfondo di film, una evocazione».
Che sfondo è?
«Uno sfondo perfetto. Non c'è niente di meglio. O di peggio, dipende dai punti di vista...».
Perché?
«Perché, per stimolare la ricerca, non c'è niente di meglio di quanto conosciamo poco. Tutto quello che resta poco chiaro e accessibile ai più spinge la fantasia».
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