Mille e 422 voti. Il 4% nel cuore della città amministrata da Virginia Raggi, simbolo del big bang grillino alle Comunali del 2016. Negli stessi quartieri (centro storico e Prati) il M5s quattro anni fa conquistava il 20%, seppur lasciando questo municipio borghese e benestante al Pd. Mentre alle politiche del 4 marzo 2018, altro exploit elettorale storico del Movimento, il collegio Roma 1 regalava ai pentastellati il 17%. Le elezioni suppletive di domenica per scegliere il deputato chiamato a sostituire l'ex premier e attuale commissario europeo agli Affari economici Paolo Gentiloni hanno rappresentato un'altra débâcle per i Cinque stelle. Dal valore altamente simbolico, perché avvenuta nella Capitale governata da una giunta del M5s. E forse indicativa di ciò che potrebbe accadere alle elezioni comunali del prossimo anno, quando i romani saranno chiamati alle urne per eleggere il nuovo sindaco. La Raggi ancora non ha sciolto la riserva su una sua ipotetica ricandidatura, in spregio alla regola del doppio mandato, ma le percentuali desolanti raccolte nel centro di Roma potrebbero accelerare l'operazione di liquefazione del Movimento all'interno del centrosinistra. Magari anche in vista del rinnovo dell'amministrazione comunale in Campidoglio.
Domande d'obbligo nello stato maggiore, alla luce dei numeri di domenica e della sfilza di batoste rimediate da due anni a questa parte. Dubbi leciti guardando alle sei Regioni che andranno al voto in primavera inoltrata (Campania, Liguria, Marche, Puglia, Toscana e Veneto), nella maggior parte delle quali il M5s non ha ancora deciso se correre da solo o presentarsi alleato con i dem, come sperimentato in Umbria a ottobre dello scorso anno con risultati ugualmente deludenti. «Sarà difficile tirarsi fuori da questo imbuto», ammette un parlamentare. Convinto che l'inversione della rotta dei consensi sia una missione quasi impossibile. Eppure la piazza anti-vitalizi del 15 febbraio organizzata da Paola Taverna aveva instillato dosi di ottimismo in più di qualcuno. Stroncate ancora una volta dai numeri. In una discesa che sta durando esattamente da 24 mesi. Dopo il trionfo alle politiche del 4 marzo del 2018 il M5s non ha centrato un obiettivo elettorale.
A partire dalla tornata immediatamente successiva. Alle Amministrative di giugno 2018 il Movimento è arrivato al ballottaggio in soli quattro Comuni importanti per poi conquistarne uno: Avellino. Nel capoluogo irpino il sindaco Vincenzo Ciampi è stato sfiduciato dal Consiglio comunale cinque mesi dopo la sua elezione. Alle Regionali in Friuli Venezia Giulia, tenutesi nella stessa data, il M5s non è andato oltre l'11%. Voti dimezzati rispetto alle Europee del 26 maggio del 2019, con i Cinque stelle al 17% a osservare da lontano la cavalcata dell'allora alleato di governo Matteo Salvini al 34%. Alle Comunali dello stesso giorno i grillini avevano conquistato un solo capoluogo di provincia: Campobasso.
Sempre nel 2019, risultati deludenti in tutte e cinque le Regioni al voto. Terzi dietro centrodestra e centrosinistra dove si sono presentati da soli e un misero 7% di lista in coalizione con il Pd in Umbria.
Infine, le performance più recenti, ovvero il doppio tonfo alle Regionali del 26 gennaio scorso.
In Emilia-Romagna il candidato governatore Simone Benini ha ottenuto il 3,4%, la lista il 4,7% e due consiglieri regionali eletti. In Calabria il candidato Francesco Aiello si è fermato al 7,3% e la lista del M5s si è attestata a un 6,2% che non ha permesso ai pentastellati di entrare in Consiglio regionale.
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