Un gioco delle tre carte che, per il momento, è riuscito solo a metà. Il confronto tra il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, e i sindacati sulle trattative per il contratto è servito, in fondo, solo a guadagnare altro tempo. Fino a settembre quando ci sarà una convocazione ufficiale e si discuterà ancora. L'importante è frenare il malcontento prima della partenza della campagna referendaria ed evitare che i rappresentanti dei lavoratori possano rappresentare un ulteriore ostacolo sul cammino della riforma costituzionale Renzi-Boschi.
Basti pensare che non c'è nessun paletto. «Se ci sarà sviluppo, allora ci saranno anche più risorse», ha sottolineato Madia ribadendo, in pratica, che per il momento si resta fermi sui 300 milioni stanziati dalla legge di Stabilità per il 2016. Risorse che spalmate su una platea di 3,3 milioni di dipendenti rischiano di essere esigue. Di qui l'idea-guida di concentrarle sulla fascia di reddito inferiore ai 26mila euro annui lordi. In ogni caso, la vertenza sarà agganciata al Testo unico del pubblico impiego che verrà presentato a gennaio. La delega scade a febbraio e per ora non c'è una bozza di governo, hanno riferito fonti ministeriali. Una scelta ad hoc per depotenziare le indiscrezioni pubblicate dal Corriere secondo cui nella nuova elaborazione delle norme sarebbe sancita la fine degli scatti retributivi automatici e il licenziamento in caso di indisponibilità al ricollocamento dopo due anni in mobilità. Una bomba esplosa proprio alla vigilia del confronto, ma sulle cui schegge Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo non hanno speculato.
La leader della Cgil, però, ha alzato la posta in gioco. Il ministro Madia «dovrebbe cominciare a dire che una delle condizioni per far crescere l'economia è rinnovare bene il contratto del pubblico impiego», ha detto. «Suggerisco al ministro di utilizzare quindi questa formulazione», ha continuato la sindacalista, invitando l'esponente piddina «a cambiare opinione dato che stanno rivedendo tutte le stime sulla crescita economica al ribasso». Per la Cgil, infatti, il modello da seguire è quello del settore privato i cui rinnovi contrattuali sono stati caratterizzati da un incremento tra gli 80 e i 120 euro. «Le risorse stanziate fino ad oggi non sono sufficienti, chiediamo, quindi, al governo di trovarne altre e di arrivare ad un contratto dignitoso», le ha fatto eco il segretario Cisl, Annamaria Furlan, senza però esasperare i toni.
La revisione al ribasso del Pil 2016 e 2017 (ieri a Confindustria e al Fondo monetario internazionale) si è aggiunto anche l'Ufficio parlamentare di Bilancio, è la vera preoccupazione di tutto il governo. Di qui la scelta del ministro di alludere al fatto che «la distribuzione degli incentivi non può seguire un percorso a pioggia, senza distinzioni». Il sindacato, soprattutto quello dei dirigenti, vuole però disinnescare la riforma Brunetta che prevede di conferire il 50% delle risorse a disposizione per la contrattazione di secondo livello al 25% dei migliori e il restante 50% alla fascia compressiva nel successivo 50% di migliori valutazioni, tagliando così fuori il peggior 25 per cento. L'«ammorbidimento» potrebbe recuperare consensi.
Così come il ministro si è giocato un altro asso nella manica: il turnover, però «selettivo e non più indistinto». Le assunzioni dovranno essere mirate e indirizzate alle professionalità che servono, in base ai fabbisogni.
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