Il governo M5s-Pd galleggia in un equilibrio surreale, stretto tra due forze uguali e contrarie che si annullano. Da una parte l'istinto di sopravvivenza che guida Conte, leader, ministri e peones dalla ricandidatura improbabile a tenersi ben stretta la poltrona e a tirare avanti il più possibile. Dall'altra però c'è la difficoltà a tenere in piedi l'architettura precaria della maggioranza, sotto pressione al minimo refolo di vento e ancora peggio dopo un flop elettorale come in Umbria. Qui si fa viva l'altra forza che invece spinge per far saltare tutto e andare al voto, ipotesi a cui guarda anche il Quirinale come unica via d'uscita se la situazione si complicasse ulteriormente. Nessuna delle due forze prevale e quindi la maggioranza va avanti per inerzia, ma già dopo neppure due mesi di vita il passo è quello di chi sa che la corsa finirà presto anche se vuole farla finire più tardi possibile, possibilmente a scadenza naturale. Una situazione paradossale che però ha dietro delle motivazioni logiche.
Per il M5s, come al Pd, è vitale portare a casa alcune riforme prima di affrontare le urne. I grillini sono in piena emorragia di elettori, se si eccettua una fascia di età, quelli sotto i 25 anni dove Di Maio e soci tengono. E infatti il M5s sta lavorando alla modifica costituzionale per estendere il diritto di voto agli under 25 anche al Senato. A Montecitorio è stata già approvata la proposta di modifica dell'art. 58 della Costituzione, primo firmatario il grillino Giuseppe Brescia, che è anche presidente della commissione Affari costituzionali. É chiaro che, al di là della retorica sulla «inclusione democratica di 4 milioni di giovani» sbandierata dai Cinque Stelle, quello che interessa ai grillini è allargare la base elettorale del Senato per sperare di recuperare grazie a questo trucco qualche punto percentuale. Il sogno è quello di far votare addirittura i sedicenni, idea che piace molto a Beppe Grillo («Un bel vaffanculo a chi non vuole il voto ai sedicenni» ha detto il comico-garante su un palco umbro). Al Pd, che ha siglato un patto per cambiare la Carta insieme a 5s, interessa invece un altro aspetto. Poiché la maggioranza delle regioni è passata dal centrosinistra al centrodestra e nel 2022 si voterà il nuovo capo dello Stato, per il Pd è importante limitare il potere di voto dei delegati regionali nell'elezione del Quirinale. In cantiere, come scritto ieri dal Giornale, c'è appunto un altro disegno di legge per ridurre il numero di delegati regionali (al momento tre) con diritto di voto per il presidente della Repubblica. E insieme a queste due modifiche - un Senato a misura di Cinque Stelle e meno elettori regionali di centrodestra quando si dovrà decidere il successore di Mattarella - c'è anche da modificare la legge elettorale, anche qui in modo da non premiare la coalizione vincente (al momento, per tutti i sondaggi, quella di centrodestra) o il partito con più voti (al momento la Lega). Come si vede dunque gli interessi comuni tra Pd e M5s, per tirare a campare, non mancano. Oltre a questi di bottega ci sono poi questioni più venali, come la pensione da parlamentare. Soprattutto i parlamentari al primo giro, moltissimi specie tra i 5s, non basta più come in passato stare due giorni alla Camera per avere la certezza di un bel vitalizio a 60 anni. No, bisogna raggiungere i quattro anni, sei mesi e un giorno di legislatura prima di ottenere il diritto alla pensione. Quindi, tirare a campare almeno fino al dicembre 2022.
Ma non sarà facile arrivarci. L'esecutivo è appena nato ma il voto viene evocato in continuazione.
«Se il governo non realizza quel che ha detto, se non ce la fa, meglio andare a votare» mette già le mani avanti Nicola Zingaretti, che nelle elezioni vede anche un modo per uscire dalla trappola delle correnti e dei renziani prima che lo rosolino a puntino.
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