Di Maio, il gaffeur che non parla l'inglese e non sa la geografia

Celebri i suoi svarioni: la Russia bagnata dal Mediterraneo e Pinochet venezuelano

Di Maio, il gaffeur che non parla l'inglese e non sa la geografia

Non sappiamo se sia stato aiutato da un plotone di navigator, ma alla fine una poltrona la ha trovata anche lui. Luigi Di Maio, ex ministro dello Sviluppo Economico, ex ministro del Lavoro, ex vicepremier e, a questo punto, anche ex leader dei Cinque Stelle scalzato da Conte, un ministero se lo è accaparrato. E non di quelli di poco peso: la Farnesina. Luigi Di Maio è il nuovo ministro degli Esteri. L'uomo che rappresenterà l'Italia nelle più importanti cancellerie. Colui il quale stringerà la mano ai potenti della terra. Il nostro biglietto da visita nel mondo, insomma. E già si sprecano le facili ironie. Facilissime, perché il neoministro, con le sue numerose gaffe presta il fianco a qualunque speculazione. Partiamo dalla geografia, che per fare il ministro degli Esteri non è esattamente una materia opzionale. Giggino deve avere avuto, in tenera età, qualche problema con l'atlante solo che adesso ha in mano lo scacchiere internazionale e non è proprio la stessa cosa. «Siamo un Paese alleato degli Stati Uniti, ma interlocutore dell'Occidente con tanti Paesi del Mediterraneo come la Russia». La Russia è bagnata dal mar Baltico, dal mar Glaciale Artico, dall'oceano Pacifico, dal mar Nero e dal mar Caspio, ma dal Mediterraneo proprio no. Nemmeno uno schizzo d'acqua. Speriamo solo che, quando andrà in delegazione da Putin, non decida di raggiungere il Cremlino in traghetto o a nuoto.

Ma i guai non finiscono a Est. A cavallo tra storia e geografia c'è la celebre gaffe su Renzi: «È come Pinochet in Venezuela». Fuochino, il continente è giusto, ma il Paese è il Cile, non il Venezuela. Ma d'altronde, per non uscire dai confini italiani, il neoministro ha anche avuto occasione di chiedere al governatore pugliese Emiliano: «Con Matera che state facendo?». Presumibilmente non stavano facendo nulla, dato che Matera è in Basilicata. Ma lui, in questo caso, col sorriso ineffabile e beffardo, ci direbbe: «Faccio il ministro degli esteri mica degli interni».

Dopo aver traslocato la Russia sulle coste del Mediterraneo, Di Maio, indomito, ha deciso di pestare i piedi a un'altra superpotenza mondiale: la Cina. «L'impressione sul discorso del presidente Ping... è sicuramente un discorso di apertura ai mercati», disse davanti a un platea internazionale. Ping chi? Il presidente cinese si chiama, in realtà, Xi Jinping. E Xi è il cognome, Jinping il nome. Per intenderci è come se lo avessero chiamato: il ministro Gigi.

Scivolone storico anche con la Francia, definita in una lettera a Le Monde, «una democrazia millenaria». In realtà dalla Rivoluzione sono passati 230 anni. Una bazzeccola, certo, dal punto di vista diplomatico ha fatto molto peggio: ha incontrato quei gilet gialli che hanno messo a ferro e fuoco Parigi e provocato più di una decina di morti. Ma questa, purtroppo, non è una gaffe. Siamo certi che Macron non veda l'ora di ospitarlo all'Eliseo.

Non ultimo il problema linguistico. Non siate maliziosi, non stiamo parlando dei suoi problemi con l'italiano e i congiuntivi. «Di Maio sarà l'unico ministro degli affari esteri a non conoscere la lingua inglese», attaccano politici e cittadini. In effetti c'è un celeberrimo video in cui, in un inglese più che zoppicante (inizia dicendo «first of us» invece che «first of all») parla agli increduli studenti di Harvard.

Peccato veniale. Anzi, ci sorge un dubbio: siamo sicuri che il fatto che all'estero non capiscano quello che dice sia un male? Altro che problema, può essere il salvagente che ci mette al riparo da sciagure diplomatiche.

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