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Di Maio tira in ballo Draghi per fare le scarpe a Conte

La "terza vita" del ministro degli Esteri che ora scommette sulle larghe intese (con l'obiettivo di tornare vicepremier)

Di Maio tira in ballo Draghi per fare le scarpe a Conte

Dopo la svolta moderata, quella istituzionale. Con buona pace delle prima vita di Luigi Di Maio, quella del guappo barricadero che comiziando a Fiumicino invocava l'impeachment di Sergio Mattarella per «evitare reazioni della popolazione». O che dal balcone di Palazzo Chigi arringava la piazza festeggiando la «fine della povertà». Sono passati solo due anni da quell'epoca rivoluzionaria, eppure la politica è ormai così fluida che pare trascorsa un'intera era geologica. Anzi due. Quella del Di Maio moderato, vicepremier nel Conte 1 e costretto a ritagliarsi un profilo più equilibrato per bilanciare il suo collega di governo Matteo Salvini. E quella del Di Maio istituzionale, iniziata formalmente con l'ingresso alla Farnesina, ma entrata davvero nel vivo quest'estate, quando il ministro degli Esteri ci ha tenuto a far sapere che aveva avuto un incontro con Mario Draghi.

La terza vita, appunto. Quella in cui Di Maio ha iniziato a mettere in conto l'eventualità di un governo di larghe intese se il Conte 2 dovesse finire a carte quarantotto, investito dalle prossime elezioni regionali. Anzi, se all'inizio il ministro degli Esteri la considerava solo «un'ipotesi percorribile», ora pare che sia lui uno dei principali sostenitori del governissimo. Sarà l'osmosi con gli ovattati corridoi di marmo bianco della Farnesina o la frequentazione quotidiana con i rituali della diplomazia, fatto sta che Di Maio si muove da mesi esattamente in questa direzione. Non è un caso, quindi, che abbia voluto andare ben oltre la forma quando qualche giorno fa ha fatto gli auguri di pronta guarigione a Silvio Berlusconi. «Spero si riprenda presto e che combatta con la forza che lo ha sempre contraddistinto anche questa battaglia», ha detto il ministro degli Esteri. Nella sua prima vita - sempre due anni fa - gli dava addosso definendolo un mafioso, oggi lo considera addirittura un combattente.

Così, ancora ieri Di Maio è tornato ad elogiare Draghi, principale candidato alla guida di un esecutivo di larghe intese (nel quale, guarda un po', il ministro degli Esteri si immagina nuovamente vicepremier). «E' una risorsa per l'Italia», ha detto. E «per spendere bene i 200 miliardi di Recovery Fund potremmo avvalerci di una competenza indiscussa come la sua». Parole che devono aver fatto saltare dalla sedia Giuseppe Conte, visto che è del tutto evidente che la gestione delle ingenti risorse che arriveranno dall'Europa sarà l'unica vera partita che conta nei prossimi mesi. E poco importa che Di Maio abbia voluto precisare che «il premier ha tutta la sua fiducia» e nessuno «vuole fargli le scarpe», perché è del tutto evidente che certe uscite hanno un peso e non sono casuali. Dopo il faccia a faccia di luglio, insomma, il titolare della Farnesina torna a chiamare in causa Draghi. Quella volta disse che gli aveva «fatto una buona impressione», quasi a volerci tranquillizzare sul fatto che l'ex presidente della Bce - chi l'avrebbe mai detto - non era proprio uno sprovveduto. Oggi, archiviata la sua prima vita nella quale accusava il numero uno dell'Eurotower di «avvelenare il clima» e «non rispettare l'Italia» (anno 2018), Di Maio fa un passo in più e arriva ad auspicare che possa essere proprio lui a gestire i miliardi in arrivo da Bruxelles.

Per certi versi un'uscita un po' scomposta, perché ci sono momenti in cui è meglio lavorare sottotraccia piuttosto che accendere i riflettori. Ma, evidentemente, durante il forum Ambrosetti l'ex capo politico dei M5s deve aver colto che il gotha imprenditoriale ed economico riunito nei giorni scorsi a Cernobbio tifa apertamente per Draghi. E chissà che anche questa circostanza non abbia alla fine convinto Conte a partecipare alla festa nazionale dell'Unità a Modena. Dopo aver tergiversato per giorni, infatti, proprio ieri Palazzo Chigi ha fatto sapere che stasera alla 20.30 il premier sarà intervistato sul palco principale, arrivando direttamente da Beirut dove è in visita di Stato. Un modo per cementare i rapporti con il Pd ma anche per blindare un sempre più traballante Nicola Zingaretti proprio in chiave anti Draghi.

Non è un mistero, infatti, che anche nel centrosinistra siano in molti a ventilare l'arrivo dell'ex presidente della Bce se il risultato delle regionali dovesse compromettere irrimediabilmente la tenuta dell'esecutivo.

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