«S iamo qui per risolvere, però io non sono un mago», dice uno sconsolato Matteo Salvini entrando a Palazzo Chigi, alle due e mezzo di un pomeriggio rovente. Quando esce infatti, tre ore più tardi, la situazione non è cambiata: ancora fa caldo, ancora si litiga, ancora manca l'intesa sull'autonomia regionale differenziata. Il leghista minimizza: «Sono Ci sono riflessioni in corso ma io sono ottimista per natura». Ma il vertice fallisce. Problemi di soldi, di visioni opposte su alcuni punti della riforma - dall'istruzione all'ambiente alle competenze su ferrovie, sovrintendenze e porti - di strategie diverse. Conclusione, fumata nera, terzo flop consecutivo sull'argomento, si rinvia a giovedì. E mentre i governatori protestano per la mancata decisione, resta la sensazione di una maggioranza alla frutta, che non riesce più a mettersi d'accordo nemmeno su un provvedimento previsto dal contratto di governo.
Eppure a Palazzo Chigi assicurano che «il dialogo procede in un clima positivo». Sta di fatto che, nonostante gli annunci della vigilia, neanche questo vertice tra Conte, Salvini, Di Maio e i ministri interessati produca un testo definitivo e condiviso sull'autonomia. Dal parte grillina sottolineano come siano «tanti ancora i nodi da scogliere». In particolare, riferisce una fonte di primo piano, M5s non è d'accordo sulla definizione del cosiddetto costo medio, uno dei temi centrali nella partita, e neanche sulla Vas, cioè la Valutazione ambientale strategica per sovrintendenze, autostrade, educazione, porti: chi dovrà avere le competenze, lo Stato o le Regioni? In particolare, i cinque stelle sono contrari alle assunzioni dirette dei docenti nelle scuole per il rischio di avere «un'istruzione di serie A e una di serie B». Già in passato, ha fatto notare il sottosegretario grillino alla Pi Salvatore Giuliano, la Consulta ha bocciato tentativi di differenziazione. Guarda caso, il relatore della sentenza era l'allora giudice costituzionale Sergio Mattarella.
Ma il M5s fa comunque trapelare ottimismo e fiducia. Erika Stefani parola di «passi avanti». Si andrà a dama se si partirà da «una proposta più equilibrata», calibrata su due principi cardine. Il primo è l'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni, ovvero i Lep: livelli minimi da garantire ad ogni italiano indipendentemente da dove vive. Il secondo riguarda il fondo di perequazione: una volta trasferita una quota di gettito alla Regione, se la situazione economica dello Stato centrale dovesse cambiare, è necessario che parte delle maggiori entrate vengano girate alle altre Regioni, proprio per garantire servizi uguali per tutti.
E poi, l'aspetto finanziario. La settimana scorsa l'equilibrio sembrava trovato, in realtà ci sarebbero tuttora distanze da colmare. Proprio per questo, dicono, si è deciso di aspettare il ritorno di Giovanni Tria. Il ministro dell'Economia oggi era assente perché impegnato all'Eurogruppo a Bruxelles. La sua presenza al tavolo basterà a risolvere la questione? O l'ostacolo è di carattere politico generale?
Leggendo infatti la lunga lista snocciolata dei punti di disaccordo, la strada appare parecchio in salita. Una dilazione dei tempi potrebbe acuire le tensioni tra i due alleati di governo e far lievitare i malumori dei governatori interessati - Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna - che già nei giorni scorsi hanno protestato. Ma il rinvio non disturba Attilio Fontana. «Non c'è un'intesa, ma se si rimanda di pochi giorni per approfondire alcune questioni, secondo me è una cosa seria, vuol dire che stanno lavorando veramente e mi fa piacere».
Quando finirà la pazienza? «Non è questione di pazienza - risponde il governatore lombardo - non pretendo che una riforma importante come l'Autonomia si faccia in due ore. Forse nei mesi scorsi si è buttato via del tempo, ma adesso sembra che si stia affrontando il problema».
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