È un referendum su Renzi, ma subito dopo (o forse subito prima) un verdetto su Maria Elena Boschi, il ministro che ha messo la firma sulla riforma costituzionale (ddl Boschi) e l'ha seguita passo dopo passo in Parlamento, in prima linea o coi suoi fedelissimi nelle commissioni. Normale che per la ministra ci sia un po' di nervosismo ultimamente, sempre di più con l'avvicinarsi del voto. Anche a voler archiviare come gossip le voci di un suo «declassamento» da donna-immagine dell'esecutivo in favore della first lady Agnese Renzi, su suggerimento dal guru americano Jim Messina, consulente (400mila euro di compenso) del Pd per la campagna referendaria. Voci maliziose, dal momento che la Boschi si vede eccome: nei tour per il Sì dai paesini italiani fino al Sudamerica, nei dibattiti in tv, con conduttori e interlocutori però attentamente selezionati dallo staff comunicazione della ministra per evitare trappole (del faccia a faccia con Brunetta previsto da La7 poi non se n'è fatto nulla). Ospite a Porta a porta, la Boschi si è mostrata pronta ad azzannare quelli del No di fronte alle critiche alla riforma, prese dalla Boschi quasi come offese personali: «Se andranno al governo loro, toglieranno gli 80 euro in busta paga», è arrivata a minacciare la ministra. Meno contenuta, in assenza di telecamere, la sua reazione durante un incontro sul referendum a Zurigo. Quando una signora nel pubblico l'ha interrotta per contestarla, alla Boschi sono saltati i nervi: «Signora la prossima volta invitano lei, sale sul palco e parla lei! - le ha urlato la ministra fuori di sé - C'è un limite all'educazione! Noi non ci permettiamo di andare alle scarsissime iniziative per il No a interrompere!».
Reazione scomposta, specie per una personalità di solito controllata come la Boschi, sintomo della sovreccitazione per il test elettorale del 4 dicembre, soprattutto per lei. Anche perché per la Boschi si chiude un anno molto complicato, investita in pieno dal «caso Etruria» con un voto di sfiducia (bocciato) alla Camera, e la graticola delle inchieste sul padre, ex vice presidente della banca aretina, e la famiglia intera. La ministra ne è uscita indenne, ma la sua popolarità è crollata. Se solo nell'ottobre 2015 la Boschi era, secondo una ricerca Euromedia Research, il ministro con il gradimento più alto nell'esecutivo, nell'ultima (ottobre) rilevazione di Ipr Marketing sulla fiducia nei ministri, su 13 posizioni in classifica la Boschi rimedia il 12esimo posto, penultima (peggio di lei solo il duo Giannini-Madia, le titolari rispettivamente di Istruzione e Pubblica amministrazione). Con la pressione e i nervi tesi, è più facile che scappi qualche gaffe. E la Boschi ne ha collezionate diverse negli ultimi tempi.
Dall'infelice uscita sui malati di cancro che «se passa la riforma» avranno accesso a cure migliori, alla sinistra Pd che vota «come Casa Pound» (che provocò le ire della minoranza democratica nel direttivo Pd), all'attacco all'Anpi, perché «i partigiani veri, quelli che hanno combattuto voteranno Sì alla riforma costituzionale», mentre «quelli venuti poi», cioè i partigiani finti, sono per il No. Anche lì tumulti in casa Pd, poi sedati. Meno male, per la Boschi, che al 4 dicembre manca poco.
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