Il risarcimento non arriva ma Equitalia le chiede ​36mila euro di imposte

Il marito morì sul lavoro Evitata solo grazie al Tg5 la beffarda ingiustizia

Il risarcimento non arriva ma Equitalia le chiede ​36mila euro di imposte

Una storia di burocrazia senza cuore né buon senso, che ha trovato una soluzione solo grazie al Tg5, ma che merita comunque di essere raccontata. È quella di Rosella Pastore da Casalserugo, a pochi chilometri da Padova. E di un'ingiunzione notificatale qualche giorno fa. A novembre le aveva scritto l'Agenzia delle Entrate, pretendendo 26.548 euro. Dieci mesi dopo, è la volta di Equitalia. Che tra sanzioni ed interessi di euro ne vuole 36.000. Identico, in entrambi i casi, il motivo: la registrazione di una sentenza favorevole a Luisella Pastore fu Bertian.

«Ho perso mio marito nel 2011», ha ricordato la donna in un'intervista al Mattino di Padova. Il suo Attilio aveva 32 anni ed era dipendente di una ditta di impianti elettrici. Era d'estate: con un collega stava issando i pali d'illuminazione di un campo da tennis quando una delle aste urtò i fili dell'alta tensione. La morte fu terribile e immediata. L'impresa fu condannata per omicidio colposo e il Tribunale Civile sentenziò un cospicuo indennizzo in favore della vedova, della figlia e dei genitori dello sfortunato lavoratore. Il datore di lavoro, però, soccombente ma nel frattempo entrato in cattive acque (e forse pure per questo ignorato per le spese di registrazione, poste a carico di uno degli obbligati in solido), non ha scucito un euro, limitandosi a proporre appello.

Insomma, nei fatti nessun risarcimento. Ma al Fisco non sembra importare. E non certo per errore: solo la puntuale applicazione delle norme, secondo la società di riscossione. Del resto, a parere di Equitalia non erano un errore neanche i 200 milioni chiesti a Riccardo Di Tommaso, fondatore del marchio Bernardi, che per una multa (d'importo inferiore) mai ricevuta aveva dovuto subire un pignoramento che, a detta dei suoi legali, aveva messo in ginocchio il gruppo e i suoi 200 operai, sbattuti in cassa integrazione prima che la Commissione tributaria, a frittata fatta, annullasse il debito. Ispirato alle regole risultava essere pure il conto presentato a Enrico Grecchi, cinquantaduenne di Lecco che tra il 2003 ed il 2005 era rimasto in cella 654 giorni. Lo accusavano di spacciare droga, ma aveva la sola colpa di conoscere un pregiudicato. Uscito dal carcere, s'era visto liquidare 91mila euro per ingiusta detenzione. Equitalia li aveva prelevati quasi per intero dalle casse del ministero dell'economia per debiti tributari risalenti al 2001, salvo restituirli quando la Commissione tributaria accertò che tra l'ingiunzione ed il pignoramento erano trascorsi 12 anni. Più dei 10 nei quali si consuma la prescrizione. E tutto a posto anche per i 148mila euro vantati nei riguardi d'un imprenditore modenese per un debito da 95mila euro: una differenza figlia di sanzioni e interessi leciti, ha accertato il gip Domenico Truppa. Auspicando tuttavia in sentenza «scelte legislative coraggiose per la sospensione delle cartelle esattoriali». Ma Roma ha fatto orecchie da mercante.

L'unica differenza nel caso di Luisella è che lui una soluzione l'ha trovato. Equitalia, sorda alle sue proteste, non lo è stata di fronte ai servizi del Tg5. Che ieri nell'edizione delle 20 ha potuto dare alla vedova la buona notizia.

Il sottosegretario all'Economia Enrico Zanetti ha garantito a Luisella «che non dovrà pagare nulla». Le leggi dei mandarini di Stato sono terribili, ma per fortuna ogni tanto quelle del buon senso funzionano di più. Specie se la figuraccia va in onda in prima serata su un tg.

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