Come strappare il velo dell'ipocrisia e dare la sveglia. Al Pd. Uscita «scomoda» quella del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella che ieri, nella ricorrenza della Giorno del ricordo, celebrata a Montecitorio, ha dato sicuramente un dispiacere al popolo della sinistra che tanto ha fatto per eleggerlo. Mattarella, andando dritto al cuore del problema e della storica negazione della vera verità, da parte, all'epoca del partito comunista e poi di tutti i suoi successivi derivati politici, ha usato infatti queste precise parole: «Per troppo tempo le sofferenze patite dagli italiani giuliano-dalmati con la tragedia delle foibe e dell'esodo, hanno costituito una pagina strappata nel libro della nostra storia». Fuor di semplice metafora, ovvio che il tono della dichiarazione del capo dello Stato è suonato come una decisa, inequivocabile, sottolineatura di quel comportamento ambiguo, riguardo alla tragedia, per decenni adottato largamente, salvo qualche eccezione, da autorevoli esponenti della sinistra. Quella ufficiale, rappresentata dall'ex Pci, e quella extraparlamentare, che ancora oggi ne incarna e ne sostiene le istanze più radicali. «Il Parlamento con decisione largamente condivisa - si è affrettato a puntualizzare poi Mattarella - ha contribuito a sanare una ferita profonda nella memoria e nella coscienza nazionale. Oggi la comune casa europea permette a popoli diversi di sentirsi parte di un unico destino di fratellanza e di pace. Un orizzonte di speranza nel quale non c'è posto per l'estremismo nazionalista, gli odi razziali e le pulizie etniche».
Belle e schiette parole che però, con tutta probabilità, non sono state così gradite da tutti i suoi elettori. Il capo dello Stato ieri pomeriggio è intervenuto a Montecitorio, con la presidente della Camera Laura Boldrini e col ministro dell'Istruzione Stefania Giannini, alla cerimonia di premiazione delle scuole. Tutte le più alte cariche dello Stato hanno accolto l'appello al ricordo. Il premier Matteo Renzi su Twitter e su Facebook ha invitato a «onorare» il Giorno del ricordo, «per non dimenticare l'orrore delle Foibe e il dramma dell'esodo che toccò a tanti nostri connazionali». E in generale da tutti i leader sono arrivati messaggi. A margine una polemica, da Fratelli d'Italia, per il mancato stop ai lavori d'Aula per partecipare alla cerimonia.
Parole forti, quelle di Mattarella. Che ricordano quelle con cui, almeno tre lustri fa, l'attuale sindaco di Torino, all'epoca segretario Ds, sdoganò questo capitolo doloroso: «Oggi - scriveva Fassino - nessuno può dire più di non sapere e ognuno ha il dovere morale prima ancora che politico, di assumersi le proprie responsabilità. Anche la sinistra deve assumersi le proprie e dire con chiarezza e definitivamente che il Pci, in quegli anni, al confine orientale sbagliò: sbagliò perché, pesarono sui suoi orientamenti e sulle sue decisioni il condizionamento dell'Urss e della Jugoslavia di Tito, in particolare negli anni della guerra fredda». E nella lettera in cui Fassino annunciava l'appoggio parlamentare del suo partito all'istituzione del Giorno del ricordo così motivava la sua scelta: «Perché oggi, iscrivere tra le celebrazioni della Repubblica la giornata del 10 febbraio è il modo giusto con cui l'Italia intera può rendere omaggio a chi fu costretto all'esodo, superando definitivamente ogni forma di reticenza e rimozione di una tragedia che ogni italiano deve considerare parte della storia del Paese». E nella lista dei ravveduti va iscritto anche l'ex presidente Napolitano che nel 2007 fece mea culpa, parlando della responsabilità della sinistra per «aver negato, o teso ad ignorare, la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica, e dell'averla rimossa per calcoli diplomatici e convenienze internazionali».
di Gabriele Villa
È la stima, per difetto, delle vittime delle foibe, che in Italia si ricordano il 10 febbraio
È l'anno in cui è stato istituito il Giorno del ricordo dei massacri delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata
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