Una ragione ci deve essere se Matteo Renzi ha deciso di mettere le mani avanti nella partita per il Quirinale. Il premier, infatti, non solo tratteggia l'identikit del successore di Giorgio Napolitano («un arbitro capace di rappresentare l'Italia») ma - intervistato dal Tg5 - arriva a mettere nero su bianco la volontà di «evitare la figuraccia» del 2013, quando l'impasse del Parlamento fu senza precedenti.
D'altra parte, non è strano che Renzi tema che si ripeta proprio lo schema che un anno e mezzo fa portò il Pd prima ad impallinare Franco Marini e poi a far fuori Romano Prodi, con buona pace di Pier Luigi Bersani che cinque giorni dopo fu costretto a cedere il passo a Enrico Letta. Proprio in questi giorni, infatti, gli scricchiolii interni al Pd si stanno facendo sentire non poco. E l'ironia con cui Pippo Civati - uno dei leader della fronda dem - ieri commentava la querelle sulla riforma del fisco («il decreto si è scritto da solo, a insaputa di tutti») lascia presagire giornate difficili quando il Parlamento si riunirà in seduta comune per votare il successore di Napolitano. Proprio Civati, peraltro, c'è chi lo ricorda la sera del 19 aprile 2013 in quel di piazza di Pietra, pochi passi da Montecitorio, davanti ad un bicchiere di vino insieme a qualche collega grillino a brindare ai 101 che poche ora prima avevano affossato il Professore.
Insomma, che Renzi abbia il timore di finire vittima dei franchi tiratori - che sia o no fuoco amico - è del tutto legittimo. Anche perché il leader del Pd sa bene che la sua partita è per alcuni versi più complessa rispetto a quella giocata da Bersani nel 2013. Dopo le giornate drammatiche che portarono alla rielezione di Napolitano, infatti, già il solo arrivare alla quinta votazione potrebbe essere una sconfitta, con il rischio concreto di un “liberi tutti” tra i 1.009 grandi elettori (deputati, senatori e delegati regionali). Dopo i primi tre voti in cui serve la maggioranza qualificata di due terzi, dalla quarta si passa a maggioranza semplice ed è lì che Renzi vorrebbe chiudere la partita.
Non solo per evitare che la situazione gli possa sfuggire di mano, ma anche per dimostrare a tutti - in casa e fuori, visto che in quei giorni gli occhi dell'Europa saranno puntati su Roma - che è lui a governare il Parlamento. In caso contrario, il rischio è che il leader del Pd esca decisamente ridimensionato dalla partita quirinalizia. Comunque vada poi a finire.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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