È ottimista il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, secondo il quale dal vertice di Vienna è emersa «finalmente una maggiore consapevolezza comune nell'Ue: tre mesi fa Italia e Grecia erano sole sul tema dei migranti. La dura realtà, come la tragedia di oggi a Vienna, ha fatto sì che l'insieme dei Paesi Ue abbia ora un linguaggio diverso. Con la Germania e gli altri Paesi Ue, dobbiamo far sì che questa consapevolezza si traduca nella revisione delle regole di Dublino».
Non è questa però la principale novità riguardante l'Italia annunciata al termine del summit in Austria. O per meglio dire, due questioni si legano tra loro. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha dichiarato che «un accordo è stato raggiunto con l'Italia e la Grecia» in merito alla costituzione entro la fine dell'anno dei centri di registrazione degli immigrati sul loro territorio. Si tratta dei cosiddetti «hotspots», destinati alla individuazione dei migranti aventi effettivamente diritto all'accoglienza come rifugiati, che la Merkel aveva chiesto in toni perentori a Roma e ad Atene pochi giorni fa.
La leader tedesca ha anche detto che «Italia e Grecia potranno accettare centri del genere soltanto se altri Paesi sono pronti ad accogliere la loro quota di asilanti». È questo l'altro grande problema in discussione tra i Ventotto, dal momento che fino a oggi molti Paesi Ue non intendono collaborare alla ripartizione dei profughi sui rispettivi territori nazionali.
Una situazione difficile, in cui una volta di più il ruolo della Germania appare centrale non tanto per una precisa intenzione di Berlino, quanto per l'incapacità di altri governi di assumere sul tema iniziative adeguate. Sembra quasi che molti preferiscano affidarsi alla solidità organizzativa della Germania, che in questi giorni si sta manifestando con i piani per l'accoglimento di centinaia di migliaia di rifugiati siriani, derogando alla convenzione di Dublino.
Le dichiarazioni dei ministri della Serbia e della Macedonia presenti al vertice viennese sono indicative: «È un problema dell'Ue e chiedono a noi un piano di azione. Ma è l'Ue stessa che dovrebbe avere un piano», ha detto il ministro degli Esteri serbo, Iviva Dacic, prima dell'inizio del summit.
«Fino a che non avremo una risposta europea non dovremo farci l'illusione che si risolva», ha aggiunto il suo omologo macedone, Nikola Poposki. Serbia e Macedonia non sono Paesi membri dell'Ue, ma entrambi hanno lo status di «Paesi in via di adesione»e sono terreno di transito delle decine di migliaia di migranti che cercano di raggiungere l'Ue.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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