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La Milano povera di Pisapia fa fuggire vip e capi di Stato

Fra tasse e pauperismo il sindaco ha mortificato la città Il triste specchio è il Piermarini, senza Napolitano, Renzi né personaggi internazionali a cento giorni dall'Expo

La Milano povera di Pisapia fa fuggire vip e capi di Stato

Sono dimesse cronache da una periferia dell'impero quelle che raccontano del Fidelio . Erano decenni che per Sant'Ambrogio non arrivavano il presidente della Repubblica o a rappresentarlo il primo ministro. Una tradizione infranta, forse anche uno sgarbo di cui Milano dovrebbe chiedere conto a Giorgio Napolitano e Matteo Renzi che hanno disertato quella serata che secondo il buon senso, se non si vuol scomodare la ragion di Stato, precedendo l'Expo del 2015 avrebbe dovuto essere il massimo dello sfarzo. Non un lusso inutile, ma il rilancio dell'immagine della città e dell'Italia nel mondo per far arrivare quei 20 milioni di visitatori che la renderebbero un successo e non un flop.

E, invece, non è stato così. Perché se il Fidelio di Ludwig van Beethoven allestito in jeans e tute da operaio è stato definito «grigio», «cupo» e «operaio», ancor più grigia, cupa e nemmeno operaia si è presentata la Milano guidata dalla giunta più rossa che arancione del sindaco Giuliano Pisapia. Una città esangue e spenta da tre anni di mortificazione. E da ricette anti crisi che a colpi di tasse e tagli rischiano di far soccombere il paziente. Senza dire che l'assenza delle istituzioni ha lasciato il proscenio ai violenti dell'ultrasinistra.

E per questo fa effetto andare con la memoria al Tristan und Isolde del 2007 con sindaco Letizia Moratti e assessore alla Cultura Vittorio Sgarbi alla vigilia di quel marzo in cui 140 Paesi avrebbero assegnato l'Expo. E fu la Moratti a decidere di far diventare la Scala il tempio della politica oltre che della lirica. E ci riuscì. Perché il confronto è davvero impietoso a cento giorni dall'evento più importante organizzato dall'Italia in questi anni (e da cui il Paese si aspetta qualche punto di Pil) c'erano solo il presidente del Senato Pietro Grasso e il ministro Dario Franceschini. Perché il presidente del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde era ospite della Bocconi e seduta in platea. Tanto che nel palco reale (con tutto il rispetto) è rimasto un posto anche per il vice presidente della Provincia di Milano.

Inevitabile il flashback con la Moratti che in nero Armani arricchito da Swarovski faceva la spola per accogliere cinque capi di Stato tra cui Napolitano, diciannove ministri esteri e quattro italiani, dieci sindaci stranieri. Fu tappeto rosso per i presidenti di Germania Horst Koehler, Austria Heinz Fischer, Grecia Karolos Papoulias e per l'emiro del Qatar, lo sceicco Hamad Bin Khalifa Al-Thani accompagnato dalla figlia e dalla splendida (e coltissima) moglie, la sceicca Mozah Bint Nasser. Per l'Italia il vicepremier Francesco Rutelli, il ministro Barbara Pollastrini, il sottosegretario agli Esteri Vittorio Craxi, l'ex sottosegretario Gianni Letta. I sindaci di Atene, Betlemme, Bratislava, Chicago, Dakar, Francoforte, Lugano, Reykjavik, Sofia e Zagabria. Tanto che il protocollo impazzì ad assegnare i posti in ragione del rango. Dalla Francia tre ministri, poi il presidente del World Economic Forum Klaus Schwab e quello dell'assemblea Onu Srgjan Kerim.

Poi cena per novecento nel chiostro di Palazzo Marino, la sede del Comune allestita dagli architetti Roberto Peregalli e Laura Rimini come un salone rinascimentale adornato di

velluti, broccati e dodici preziosissimi tappeti turchi del Cinquecento. Soldi buttati, protestò la sinistra. «Li hanno messi gli sponsor», rispose la Moratti che pochi mesi dopo vinse l'Expo. Portando Milano in tutto il mondo.

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