Minoranza Pd allineata a Renzi rimanda lo scontro all'Italicum

SinistraDem e bersaniani minacciano Renzi: "Se non cambia non lo votiamo". Civati critico: "La battaglia è sempre la prossima"

Minoranza Pd allineata a Renzi rimanda lo scontro all'Italicum

Il ddl Boschi fa un passo avanti, il Pd ne fa uno indietro. "Il Patto del Nazareno non c’è più, non si dica che non si tocca niente - mette in chiaro Pierluigi Bersani - o si modifica in modo sensato l’Italicum o io non voto più sì sulla legge elettorale e di conseguenza sulle riforme perché il combinato disposto crea una situazione insostenibile per la democrazia". Dopo aver superato la prova di Montecitorio, dove questa mattina si è chiuso il cerchio sulla riforma costituzionale, Matteo Renzi deve fare i conti con la rivolta interna al partito.

Per il momento la burrasca è passata. Alla fine il grosso della minoranza piddì ha votato il ddl Boschi. Anche i bersaniani si sono accodati. "Questo però è l'ultimo atto di responsabilità - avverte Alfredo D'Attorre - se il governo conferma l'immodificabilità dell'attuale pacchetto riforme io non mi sentirò di assicurare più il mio sostegno e la condivisione a questo pacchetto di riforme". Nel gruppo alla Camera sono venuti a mancare diciotto voti. Renzi si è segnato nomi e cognomi. Dai tabulati della Camera è emerso che tra le file del Pd si sono astenuti in tre, il lettiano Guglielmo Vaccaro, il bersaniano Carlo Galli e Angelo Capodicasa. In quindici, invece, non hanno proprio partecipato al voto: Stefano Fassina, anche Ferdinando Aiello, Demetrio Battaglia, Lorenzo Becattini, Francesco Boccia, Paola Bragantini, Massimo Bray, Maria Chiara Carrozza, Ezio Primo Casati, Pippo Civati, Vincenzo Folino, Francantonio Genovese, Giovanna Martelli, Luca Pastorino, Michele Pelillo. Di questi solo sette sono assenti giustificati. Escludendo Genovese, che è agli arresti, i veri voti di protesta sono quindi sette.

I malumori interni al Nazareno sono stati messi nero su bianco dalla SinistraDem. "Siamo davanti a uno slittamento del potere legislativo dal Parlamento all’esecutivo - si legge nel documento subito sottoscritto da 24 piddini - questo avviene in assenza di contrappesi necessari e con una spinta verso un presidenzialismo di fatto che non ha corrispettivi nel resto d’Europa". Nel documento, l’area che fa capo a Gianni Cuperlo chiede di riaprire il confronto sull'Italicum e le riforme costituzionali: "Altrimenti ognuno si assumerà le sue responsabilità. Da parte nostra ci riserviamo fin d’ora la nostra autonomia di giudizio e di azione". La discussione sulla legge elettorale, che arriverà a Montecitorio solo dopo le regionali di maggio, è il campo di battaglia indicato dalla minoranza Pd, ora che sulla riforma del Senato è finita. "Non si capisce perché ogni volta si alzi, nelle settimane precedenti a ogni scadenza, un polverone che poi, alla fine, si posa sul voto immancabilmente favorevole - tuona scocciato Civati - la battaglia da affrontare è sempre la prossima".

Così è stato sul Jobs Act, così nei vari passaggi delle riforme. "Così sarà sull'Italicum - conclude - ma poi magari si vota a favore anche su quello".

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