Il mocassino foderato di pelo Così Gucci rinnova il ricordo

Paltò in tweed coperti di cristalli per Scervino, mentre da Fendi è di scena l'uomo in pantofole

di«I ricordi sono una cosa che hai o che hai perduto?» chiede Mia Farrow a Gena Rowlands nel film Another Woman di Woody Allen. Per Alessandro Michele, direttore artistico di Gucci, i ricordi sono la scintilla del cortocircuito creativo che gli ha permesso in soli dodici mesi di rivoluzionare la scena della moda internazionale. Prima di lui un giovanotto magro da far paura, gli occhi spiritati dentro gli immensi occhialoni a televisore oppure ovali e pieni di strass, con un cappotto fatto nello stesso broccato verde della poltrona della nonna, le pantofole a mocassino foderate di pelo e il cappellino di Sherlock Holmes rifinito da lunghe trecce in lana, sarebbe sembrato uno che si è fatto da sé il costume di Carnevale. Alla fatidica domanda «da cosa sei vestito?» avrebbe dovuto rispondere «da vanitoso» come del resto farebbe anche l'uomo visto sulla passerella di Gucci ieri per non parlare di quello di sei mesi fa. A noi sembrano uguali, prodotti da una fantastica operazione di styling che è una cosa molto diversa dallo stilismo. 43 anni, romano, simpatico da morire, uno che parla tanto senza dire niente, Alessandro ha inventato un nuovo metodo di lavoro che si può identificare con l'anarchia. Gli piacciono gli anelli e ne porta uno su ogni dito? Ai modelli ne mette 20. Deve fare la collezione Gucci Kids e trova un orsetto con la faccia proprio simpatica? Lo mette anche su uno degli spettacolari blouson ricamati dell'uomo come l'uccellino Woodstock dei fumetti di Linus, la scritta «Bowie» oppure le labbra rosse che sorridono sulla schiena di una fantastica pelliccia in visone intarsiato a quadretti bianchi e rosa. I ragazzi hanno invece le perle perfino sui tacchi. Da qui a gridare al miracolo ce ne corre ma di sicuro adesso Gucci ha un sacco di oggetti in più da vendere e può parlare di «massimalismo all'italiana» che non vuol dire proprio niente, ma vuoi mettere come fa figo? Ermanno Scervino usa il termine dandy che di suo ha il sapore del ricordo ma a dir la verità ci emoziona soprattutto quando cita il tabarro del nonno con il collo di astrakan che gli ha ispirato il sublime tessuto ricamato effetto pelliccia con cui ha creato dei bellissimi cappotti con lo stesso taglio rigoroso e maschile per lei e per lui. L'intera sfilata è attraversata da questo concetto che non è nuovo ma ha una sua profonda verità nel mondo in cui si vive. Indimenticabili i paltò in tweed coperti di cristalli, tutti i pullover di cashmere o pelliccia nera con intarsiato un teschio bianco e i parka verde militare doppiato di pelo. Da Fendi è di scena l'uomo in pantofole, ovvero quello che sta in casa a lavorare grazie alle velocissime connessioni di cui siamo tutti dotati. In questa immagine maschile tutto sommato piena di verità c'è il ricordo di un illustratore del New Yorker che disegnava buffe maschere con cui poi si faceva fotografare da un'amica. Silvia Venturini Fendi riproduce tutto questo su borse e giubbotti nei lussuosi materiali tipici della maison ma anche sulla tote (nome tecnico per una shopping) in feltro da pantofola. Da Marras c'è la memoria dei film sui cow boy visti da bambino con il padre, la scoperta di un paese sardo, San Salvatore di Silis, in cui negli anni Settanta venivano girati gli spaghetti western. Da qui l'idea delle camicie fatte con 25 diversi pezzi di vecchie camicie assemblati, i basvagli ricamati e un sublime lavoro sartoriale sul giaccone di John Wayne. Gran bel lavoro, molto diverso da Dolce & Gabbana.

MSGM parte dai disegni di un'artista Elizabeth Peyton e arriva alla musica dei Verve prima e al colore poi. Vedi alla voce moda, insomma, un mondo a parte dove un uomo puà essere plausibile con un paltò azzurro confetto.

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