Le montagne russe del consenso: un errore e sei finito

Salvini, Conte e Di Maio: alti e bassi di una reputazione volatile

Le montagne russe del consenso: un errore e sei finito

«Mi raccomando: tenetevi una foto di Renzi sulla scrivania, dal 40 a perdere il passo è breve» aveva raccomandato Giancarlo Giorgetti ai ministri leghisti. Matteo Salvini aveva ricevuto allegro e sorridente in diretta tv l'immagine dell'ex premier del Pd, bella incorniciata a ricordare che chi troppo in alto sal cade sovente precipitevolissimevolmente. Adesso che la Lega è fuori dal governo, i sondaggi la quotano a un (pur onorevole) 30% e l'invito a tenere la foto di Salvini sulla scrivania è indirizzato ai neoministri del governo giallorosso, le orecchie fischiano soprattutto a Luigi Di Maio, approdato alla Farnesina, e al presidente del consiglio bis, Giuseppe Conte.

In tempi di società liquida, quando basta una frase sbagliata o un gesto improvvido a rompere relazioni, come ammoniscono i sociologi, la traduzione politica è il consenso volatile, reso ancora più evanescente dalla reputazione digitale, base del successo dei leader, come dei loro improvvisi tonfi. Prendiamo la Bestia di Salvini, cioè il suo apparato social, che sembrava invincibile, e che invece è stato surclassato da Giuseppe Conte. Questione di un attimo, e dalle stelle precipiti alle stalle o viceversa, come rileva l'Osservatorio permanente sulla reputazione digitale dei ministri di Reputation Science.

Il presidente del consiglio inopinatamente arrivato al bis, almeno se si pensa ai suoi esordi a consenso digitale sottoterra, ha toccato i minimi per la delusione degli italiani che lo hanno visto confabulare con Angela Merkel sui destini del Paese. Ha poi iniziato a risollevarsi quando si è mostrato in pubblico senza i due vicepremier, si è accreditato come colui che aveva evitato la procedura d'infrazione Ue e infine al momento top del reincarico. Ma anche a lui, che ora gode di altissimo consenso digitale, converrebbe tenere le foto di Renzi e Salvini sulla scrivania, insieme a quella di Di Maio.

Colui che giurerà oggi per la Farnesina era crollato nella polvere per la vicenda dei lavoratori in nero nell'azienda paterna. Si è ripreso facendo l'americano e il legalitario: missione a New York e braccio di ferro con Salvini sul suo sottosegretario indagato, Armando Siri. Un maquillage che ha rimesso almeno parzialmente in pista il grillino che sembrava ormai aver perduto del tutto lo smalto. Neanche a dirlo, proprio lì, iniziava una parabola discendente di Salvini. Quando si dice la volubilità dell'elettorato, soprattutto di chi si scatena tra Facebook, Twitter, Instagram e dintorni.

Un crollo del leader leghista era avvenuto a febbraio scorso, quando è esploso il caso giudiziario Diciotti. La sua sovraesposizione ha iniziato a dar fastidio, così come la violazione del silenzio elettorale.

Che poi gli effetti sul consenso elettorale non siano immediati, come provano i risultati delle elezioni europee di giugno, favorevoli alla Lega (con successivi sondaggi), è un'altra storia, altrettanto interessante. All'indomani del voto è ripartita la scivolata: prima il Russiagate, poi la crisi innescata l'8 agosto. Ma le montagne russe del consenso sono destinate ad andare su e giù.

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